Dante è gioia, gioia dell’intelletto e gioia del cuore, potente leva di emozioni oltre che di sapienza. Ravenna lo vuole e lo celebra così, maestro e compagno di vita, per 5 giorni, da 13 anni, unica città a dedicargli un festival esclusivo, nei luoghi che lo accolsero da esule e ne conservano le spoglie. Si cominciò con ‘Dante 2021’, per celebrarne i 700 anni dalla morte, poi da due anni è diventato ‘Prospettiva Dante’ perché Ravenna e i suoi ospiti non rinunciano a farsi prendere per mano dal Poeta. In quei giorni lo si incontra nei suoi luoghi, davanti alla Tomba, dove un artista intona un canto leggendone i versi, o ai Chiostri francescani dove Dante diventa mille persone e mille storie, nelle parole di professori e intellettuali o nelle performance di musicisti e artisti di ogni disciplina.
Il festival è promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, con la direzione scientifica dell’Accademia della Crusca. Quest’anno l’appuntamento è dall’11 al 15 settembre, con molti ospiti, fra cui Alessio Boni, Samuele Bersani, Donatella Di Pietrantonio. Poi ci sono i ‘Piccoli Principi’, Alessandro Libertini e Véronique Nah che la mattina, in una visita recitata (Oh Dante mio) ci fanno scoprire il Dante affettivo, quello che è in ognuno di noi, che conosciamo o vorremmo conoscere meglio. Chiude il festival Beppe Servergnini, con una sterzata illuminante sull’attualità e ‘la perduta gente’ di sempre (Volgare di ieri, volgari di oggi).
Chi si è inventato e organizza da 13 anni tutto questo è il direttore artistico Domenico De Martino, che abbiamo incontrato per farci spiegare il suo Dante e il suo festival, così come l’ha concepito e continua a nutrirlo con grande passione.
Il Dante ‘celebrato’ e il Dante ‘prospettiva’. Sono due ‘Danti’ molto diversi. Come?
Entrambe le possibilità hanno senso, ma la prima senza la seconda è forse meno interessante. Celebrare, come nel recente VII centenario della morte (2021), serve ad accendere in un certo momento un riflettore più forte sul personaggio, sull’opera, sulla ricezione e la diffusione, e questo va bene, ma poi bisogna “obbedire” a Dante, che ci dice di puntare al futuro (lui si rivolge “a la futura gente”), e quindi dobbiamo proiettarci in una prospettiva che non esaurisca tutto in una pur gloriosa “imbalsamazione” statica. Ma questo è ovvio, o dovrebbe esserlo.
Tredici anni con Dante a Ravenna. Lei ha concepito il festival, lo ha fatto crescere, ha esplorato e messo in piazza in tutti i modi il Sommo Poeta. Chi è Dante per lei?
Dante è tante cose; è un poeta che ci sorprende sempre, i suoi versi, letti e riletti, accendono luci e pensieri nuovi, aprono orizzonti sempre più ricchi; è un terreno di studi che aggiunge sempre qualcosa alla conoscenza della nostra storia ma anche dell’uomo nella sua assolutezza. È in qualche modo il modello della poesia, è un perno essenziale della nostra cultura, e da lì si può partire per tutti i viaggi. È anche un gran divertimento intellettuale: Dante è un dialogante meraviglioso; ci insegna a non aver paura dell’avventura intellettuale e poetica.
Le classifiche non si fanno, ma a noi piacciono. Inferno, Purgatorio, Paradiso? Il canto più bello, il verso più bello…
È più bello lo stomaco o il pancreas? Il braccio destro o quello sinistro? Questa domanda sottende, a mio avviso, un po’ di crocianesimo residuo, per il quale si fanno a pezzi le opere per separare il meglio dal peggio. In realtà non c’è Inferno senza Paradiso né Purgatorio. La Commedia è un unico corpo strettamente connesso. Ora per fare dispetto a quelli che dicono che l’Inferno è più bello, mentre il Paradiso è tutta teologia, risponderei: il Paradiso. Che è stupefacente, denso, traslucido, gioioso, pieno di dubbi più che di certezze, poeticamente potente. Ma se non ci fossero Inferno e Purgatorio, se non ci fosse tutto quel viaggio, e il senso di quel viaggio faticosissimo, il Paradiso sarebbe privo di senso e incomprensibile.
Ogni edizione un verso, quest’anno siamo in Paradiso immersi nella ‘Luce intellettual, piena d’amore’…
Il verso 40 del canto XXX del Paradiso, che abbiamo scelto come motto di questa edizione del Festival, è stato definito «travolgente», di «forma splendida e perfetta», di «trasparenza assoluta», «prova suprema del genio». In modo esemplare tiene uniti, nella terzina che fornisce la definizione dell’Empireo celeste e del destino umano, il pensiero classico, quello cristiano e la prospettiva di quello umanistico. Tra luce intellettuale e amore l’uomo trova, davanti a Dio, una letizia che è il compimento, splendido e perfetto della sua natura. E ancora oggi restiamo, laici o religiosi, abbagliati da questa immagine. Un festival come il nostro non può certo misurarsi in assoluto con questi temi altissimi, ma ci piace credere che, evitando sentimentalismo e retorica, abbiamo sempre cercato di far brillare una esaltante amorosa tensione verso una possibile umana felicità, così come il Poeta continua a indicarci. Anche quest’anno, terremo insieme commenti sapienti; letture che sono esecuzioni critiche; spettacoli leggeri – ma non privi di verità – parole della lingua che Dante ha forgiato ben disposte in ritmi contemporanei; corpi che, nel movimento, danno forma a idee; traduzioni ed echi di Dante in altre lontane lingue e culture. Tutto sotto il segno appunto di una luce intellettual che vive di amore.
Lei ha detto che Dante non è per i noiosi ma per i gioiosi. Come si fa a farlo capire a tutti?
Si legge e si spiega. E ci si sforza di capirlo. Il resto lo fa Dante stesso. Detto così può sembrare facile e semplice. Ma non lo è. C’è stato e c’è un grande lavoro, necessario, degli studiosi: filologi, linguisti, storici, critici letterari, filosofi, teologi, storici della scienza, storici della cultura, geografi… Ma il commento non deve “uccidere” il testo. Né annichilire la potenza “prospettica”, per così dire. Dante sta tra passato e futuro. In questa “camera di scoppio” sta la nostra gioia di lettori e, almeno dovrebbe essere così, anche la nostra gioia di studiosi. Ma, come dico sempre anche ai miei studenti, «bisogna durare fatica». Dante non si legge a cuor leggero, ma può rendere il nostro cuore (e anche il nostro cervello) più “leggero”. Nel mezzo ci stanno, per alcuni, gli studi, come si usa dire, “severi”; per i lettori il piacere di una lettura che ha bisogno di qualche applicazione, e che richiede la nostra disponibilità a lasciarsi trasportare dalla poesia. E i divulgatori, se al servizio di Dante e non di sé stessi, possono dare una mano.
Dante e i giovani. Il nuovo corso del festival li vuole protagonisti. Quest’anno avete inaugurato anche il Premio Dante Web che andrà ad Edoardo Prati, l’influencer che ha conquistato alla letteratura classica il popolo di Tik Tok. Come può il Sommo Poeta diventare rock, pop? Come può uscire dai libri e finire sui social?
Ma i giovani già incontrano Dante. Non solo nella scuola – ed è comunque un’esperienza importante: non si tocca Dante impunemente, e poi ci sono professori bravissimi. I giovani (bisognerebbe poi capire bene cosa intendiamo con questo termine) sono curiosi e sensibili, liberi e puliti, se non ci pensiamo noi adulti a rovinarli. I ragazzi restano affascinati da Dante, sanno ascoltarlo e non hanno paura di dialogarci, con i loro linguaggi e con le loro forme espressive. Il festival cerca di testimoniare anche questo.
Parliamo degli ospiti. Oltre 200 nei 13 anni del festival, studiosi e accademici anche internazionali, politici, economisti, attori, scrittori, musicisti e artisti delle più svariate discipline. Con quali criteri li sceglie? Ne vogliamo ricordare qualcuno?
Il criterio è che portino delle novità e che siano disposti a rivolgersi ad un pubblico non di specialisti, ma interessato e partecipe. Abbiamo avuto i vertici della Banca d’Italia, dal governatore Ignazio Visco al direttore generale Federico Signorini, economisti e appassionati di Dante, così come l’attuale ministro degli Esteri Antonio Tajani è venuto a trovarci quando era presidente del Parlamento europeo. Ma mi piace ricordare Boris Chersonskj, docente di psicologia clinica di Odessa e poeta; nel 2022, fuori dall’Ucraina per la guerra, ci ha raccontato come è stato ispirato da Dante per scrivere un suo libro di poesie. Ancora, lo scienziato Giulio Tonelli del Cern di Ginevra, che ha dimostrato con Fabiola Gianotti l’esistenza del bosone di Higgs, ci ha spiegato come in Dante ci fosse l’intuizione di alcuni elementi che sembrano essere alla base delle nuove teorie cosmogoniche. Infine il grande critico Cesare Segre: il suo libro su Cunizza Da Romano, in cui la nobildonna parla in prima persona di Dante raccontando la sua ‘vera’ storia, dimostra come anche un critico molto serio e severo, senza cedimenti, può giocare con Dante. E noi lo abbiamo ricordato rappresentando, con una nostra riduzione teatrale, la sua Cunizza.
Quest’anno avremo un traduttore di Dante nella lingua Wolof, il senegalese Pap Khouma. Con un intervento più ludico, sempre quest’anno, Lorenzo Villoresi, creatore di profumi personalizzati per attrici di Hollywood e per la maison di Gucci viene a raccontarci la storia delle sostanze aromatiche, trovandone tracce in Dante, con esemplificazioni di fragranze antiche offerte al pubblico.
Ravenna si ‘coccola’ il suo Dante, ne fa un marchio di fabbrica, ci costruisce cultura, turismo, economia. E Firenze? Continua a ripudiarlo?
Lasciamo perdere queste vecchie e polverose diatribe. Dante è letto, celebrato e studiato ovunque nel mondo. A Firenze ha sede la Società Dantesca Italiana, che è un faro (non l’unico) degli studi; a Ravenna ci sono molte meritevoli iniziative legate sia agli studi che alla divulgazione; e al nostro festival hanno partecipato studiosi e artisti cinesi, americani del sud e del nord, inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli, senegalesi, siriani, egiziani… Dante, lo diceva lui stesso, è un cittadino del mondo. Punto.
In foto Domenico De Martino