Prokof’ev per l’ultima opera al vecchio Comunale

Firenze – L’amour des trois Oranges di Sergej Prokof’ev è l’ultima opera che va in scena al Teatro Comunale (direzione di Juraj Valchua). Per dare la possibilità al pubblico di “salutare” lo storico teatro di Firenze,  Bassilichi S.p.A,  fra i Soci Fondatori del Maggio Musicale Fiorentino, dona  650 biglietti tra platea, palchi e galleria per la “prima” di domenica 1° giugno alle ore 20.30 (repliche 3,5,7 giugno). I biglietti omaggio saranno disponibili fino ad esaurimento presso la  biglietteria del Teatro Comunale sabato 31 maggio dalle 14.00 alle 18.00 e domenica 1° giugno dalle 10.00  fino all’inizio dello spettacolo.

Prokof’ev concepì il progetto de “L’Amore delle tre melarance” durante il lungo viaggio in nave che nel 1918 lo condusse fino in America. Nel segno di un teatro antiverista e antinaturalista  il drammaturgo e regista d’avanguardia Vsevolod Mejerchol’d  aveva pubblicato, nel 1914, una versione dell’Amore delle tre melarance, soggetto che  stimolò la fantasia del compositore tanto da non portarne con sé una copia negli Stati Uniti, dalla quale sarà trarrà la versione francese utilizzata nella ‘prima’ americana.

Virtuoso della  tastiera, tale da accattivarsi facilmente le simpatie di qualsiasi pubblico, diversa era l’accoglienza riservata alle sue musiche, nelle quali i critici scorgevano i pericolosi germi del contagio della sovversione ‘anarchica e bolscevica’. Ciò nonostante il  direttore dell’Opera di Chicago, l’italiano Cleofonte Campanini, non esitò a  commissionare una composizione allo ‘Chopin cosacco’ già nel 1918, poco dopo il suo arrivo.

Il  soggetto fiabesco – originariamente di Carlo Gozzi – era strettamente legato al mondo delle maschere e alle grottesche parodie della commedia dell’arte ideate dal commediografo veneziano  moda generale del clima di quegli anni, segnato da una ventata di reazione ai languori tardoromantici e al sentimentalismo verista. Nell’ottobre del 1919 l’improvvisa morte di Campanini offrì all’Opera di Chicago il pretesto per rinviare il debutto di una stagione che avvenne solo nel  1921 sotto la direzione del compositore medesimo con una ripresa a New York l’anno seguente, fino all’entusiastico successo della produzione del ‘26, a Leningrado, per la prima volta in russo, sualingua originale.

Anche in questa nuova produzione fiorentina con la regia di Alessandro Talevi, la lingua è quella francese con sottotitoli – come di consueto – in italiano e inglese. Impersonati da diverse sezioni del coro, i Tragici, i Comici, i Lirici e le Teste vuote litigano sui generi teatrali, reclamando intrecci eroici e sentimentali. Ma intervengono gli Originali (nei quali si coglie la proiezione del compositore nella sua lotta contro le convenzioni teatrali) a proclamare che l’autentico teatro è quello che ora si rappresenterà: “ L’amore delle tre melarance”. La fiaba si dipana intorno alla figura del principe Tartaglia, affetto da perenne ipocondria che rischia di perdere il trono. Allora il Re, Pantalone  e Truffaldino organizzano dei giochi per far divertire il principe mentre due coppie  congiurano contro di lui, Il Mago Celio e la Fata Morgana e  Leandro e Clarice , pretendente al trono. La maledizione della fata costringe il principe a partire  alla ricerca delle tre melarance insieme a Truffaldino. Questo rito iniziatico, tra imprese e incantesimi porterà al lieto fine, con la sconfitta dei cattivi e la corte inneggia agli sposi. Secondo le parole dello stesso Prokof’ev l’opera rappresenta l’orientamento delle sue ricerche  “contro il naturalismo  e la routine dei grandi epigoni del teatro prerivoluzionario”. Inesauribili le invenzioni, la musicali a  sottolineare il carattere di divertimento e di parodia dell’opera tradizionale . “ Il ricco catalogo delle garbate irriverenze va dalla melopea di marca musorgskiana del lamento del re, nel primo atto, all’evocazione quasi-wagneriana di Farfarello da parte del mago Celio nel terzo, o ancora alle inflessioni pucciniane (cantano come Mimì inBohème, notava Mila) escogitate per l’apparizione delle tre principesse-melarance. E non mancano nemmeno + attimi di vera commozione, come nel duetto d’amore di Tartaglia e Ninetta, che costituisce un’eccezione al prevalente trattamento della voce e lascia presagire il più acceso lirismo del balletto Romeo e Giulietta” .

Per questo lavoro Alessandro Talevi, regista d’opera italo-sudafricano,  al debutto sul palco del Teatro  Comunale, ha concepito uno spettacolo che indulge allo straniamento fantastico della fiaba. “Sento anche una forte responsabilità – ammette  il trentanovenne  regista – anche perché questo è l’ultimo allestimento operistico di questo teatro. Per questo  ho fatto in modo che  tutto il backstage fosse a vista: il pubblico  deve dare l’addio al suo teatro con un gran colpo d’occhio, qui si respira la storia”. La scenografia è quella di tradizione, “per fortuna qui in Italia ci sono ancora artigiani in grado di creare grandi scenografie .
Nell’ideare lo  spettacolo ho pensato subito ad una identificazione tra il protagonista e il compositore ed ho operato come una
sovrapposizione ideale tra  il Principe che non sorride mai e il compositore stesso. Così ho ambientato la vicenda in quei primi  anni del Novecento, cercando paralleli tra i personaggi dell’opera e quelli realmente esistiti: dall’imperatore Francesco Giuseppe, al primo ministro russo Kerensky, alle suffragette, ma sempre con un tono satirico come se fosse un cabaret d’altri tempi”. Quello che è più importante è il rispetto della partitura, e la  fedeltà allo spirito dell’opera.

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