La situazione attuale? Un “casino”. A dirlo, specificando con l’ironia che lo contraddistingue, che si tratta, in questo caso, di “nozione scientifica”, è il professor Romano Prodi, nell’incipit della lectio magistralis organizzata martedì scorso dall’Università di Firenze e dall’Istituto Storico toscano per la Resistenza . Titolo ” “Presente e futuro dell’Europa”.
Per dare l’idea di quello che stiamo vivendo, Prodi dice: “Siamo in un periodo ancora più confuso di quella della crisi del 1962, ovvero dei missili sovietici su Cuba (quando il mondo si trovò a un soffio dalla Terza Guerra Mondiale, ndr). La paura era quasi impossibile da far capire, vista la differenza dei tempi, però c’era un quadro chiaro, in cui i due protagonisti cominciarono a parlarsi e in qualche modo sistemarono il dramma. Oggi ci troviamo invece veramente in una situazione di poca chiarezza e instabilità”.
Per capire quanto è cambiato il mondo, Prodi richiama un libro che ebbe una grande popolarità negli anni ’90, scritto dal politologo Francis Fukuyama, dal titolo “La fine della storia”, in cui si teorizzava che, con la caduta del comunismo e la fine della guerra fredda, la democrazia liberale e il capitalismo avrebbero rappresentato l’ultima e definitiva sistemazione della società umana. Una democrazia liberale a guida americana, che sarebbe stato il Paese dominante, in un’economia di mercato in cui neppure la Cina, la cui crescita cominciava ad intravedersi, sarebbe diventata un problema perché avrebbe accettato l’economia di mercato con a capo gli Usa. E’ evidente, aggiungiamo noi e a posteriori, che Fukuyama e i suoi seguaci non avevano fatto i conti con la natura camaleontica e in continuo fluire del capitalismo, almeno per quanto riguarda le forme politiche fondate sulla giustificazione della distribuzione ineguale delle risorse, a cui la stessa democrazia liberale con i suoi pesi e contrappesi reca impaccio.
Ma ciò che è successo a distanza di poco più di trent’anni, dice Prodi, non è solo una solenne smentita di quelle tesi. E’ qualcosa di più, è un cambiamento che riguarda la “testa”, ovvero il modo di pensare dell’umanità. Ci sono ovviamente cambiamenti concreti che hanno condizionato il nascere di un nuovo approccio alla realtà. Come non tenere conto, ad esempio, del ruolo della Cina, che cresce fino a diventare, un po’ a sorpresa, il vero contraltare degli Usa. Il periodo che abbiamo vissuto ha inoltre visto accentuarsi, come portato del “cambiamento della testa”, la divisione per ideologia, ovvero, “siamo tornati alle guerre di religione” . Un esempio icastico? “Allo scoppio della guerra dell’Iraq (2003-2004) il presidente americano diceva “portiamo la democrazia e il cristianesimo in Medio Oriente”. Il presidente, per inciso, era George W. Bush.
L’idea di per se stessa, non è proponibile. Lasciando perdere la questione religiosa, francamente neppure considerabile, è la stessa idea di esportare la democrazia che è del tutto impossibile, come la storia ha purtroppo più volte insegnato. “La democrazia non si esporta – sottolinea il professor Prodi – tutt’al più si mette in piedi quando viene richiesta. Quando si allargò l’Unione europea, su dieci Paesi otto facevano parte dell’ex Unione Sovietica. Ma non sono stati convertiti, lo chiesero loro. La democrazia non si esporta con l’esercito. Ma l’ideologia è diventata così forte, che ha cambiato la politica estera”.
Ma cos’è la politica estera? “La politica estera è come un ponte – spiega Prodi – su cui passano i camion, le biciclette, le automobili. L’unico problema è: rispettare le regole del traffico. Il problema non è la diversità l’uno dall’altro. A contatto con gli studenti cinesi spiegavo loro che i punto critico non è il fatto che loro si trovino in una Repubblica socialista e noi abbiamo un altro tipo di governo, democratico, ma è la necessità di trovare il modo per convivere. Uno dei grandi problemi della contingenza odierna è che il presidente americano, Trump, ha un profondo, anche se inconscio, fondamento ideologico, che prevede il tipo di società da imporre agli altri. Quando e se fosse così, non ce la facciamo più a convivere”.
Una prima riflessione, questa di Prodi, che non può non indurre a una conclusione: se fosse così, e se è così, il “non riuscire più a convivere” significa una sola cosa: conflitto. “In questo mondo diviso – continua Prodi – abbiamo creato due grandi protagonisti, che sono Cina e Stati Uniti che si sono sempre più distanziati fra di loro diventando grandi avversari”. Il passaggio verso l’ideologia che ha connotato questo percorso, ha seppellito la diplomazia, l’ha messa in secondo piano. “L’ormai famoso incontro di Trump con Zelensky di fronte alle televisioni ha saltato di fatto la diplomazia”, si tratta di un fatto “che non è mai successo. Il mondo è stato messo fuori dalla modalità della diplomazia”, ovvero da quel percorso che, pur con tutti i suoi difetti, ha il compito di smussare i conflitti prima che questi esplodano.
Siamo dunque entrati in un mondo diviso, in cui gli steccati ideologici con anche radici escatologiche sono risorti forti come non mai. Ma la divisione del mondo attuale dipende anche, sottolinea Prodi, dalla profonda diversità insita nella natura dei due protagonisti. Da un lato la Cina, un miliardo e 400mila abitanti ovvero il 19% della popolazione mondiale, con il 6-7% delle terre coltivabili, grande potenza industriale almeno quantitativamente, ma che sconta la carenza di materie prime ed energia. “La politica cinese è perciò quella di andare in giro per il mondo a trovare ciò di cui ha bisogno”. Tutto questo si concretizza in una “politica estera miratissima, con interessi che vanno dall’America Latina, all’Africa, il tutto con una continuità di potere”. Di fronte, gli Stati Uniti, che “in fondo, hanno ogni ben di Dio, esportano cibo, energia, materie prime, ma hanno una politica che cambia a seconda del Presidente, o meglio, dell’andamento politico. Questa strana asimmetria che esiste nel mondo odierno ha delle conseguenze molto forti, per cui nel 2004 c’erano 150 Paesi al mondo che commerciavano principalmente con gli Stati Uniti e poi con la Cina e 50 principalmente con la Cina e poi con gli Stati Uniti, mentre ora le proporzioni sono invertite. Inoltre, quei 50 che commerciano principalmente con gli USA, sono quasi del tutto Paesi europei, più qualche Paese dell’America Centrale. In questo mondo, un’altra grande differenza col passato è che Russia e Cina, dopo generazioni in contrasto, si sono dati la mano. Si tratta di un grande errore dell’Occidente”.
Un errore dovuto in buona sostanza, dice Prodi, a motivi ideologici, conseguenza dell’idea americana della incompatibilità dei due sistemi economici e politici. Il panorama che si presenta ha delle conseguenze politiche, derivanti da questa visione ideologica, molto pesanti. Ma ripartiamo dall’economia e definiamo il ruolo dell’Europa. Il prodotto lordo mondiale è per il 24% americano, il 17% cinese, il 17% europeo. Si può sbagliare di qualche decimale in più o in meno, ma questo è il quadro sostanziale. £Economicamente l’Europa conta molto – dice Prodi – ma politicamente non contiamo nulla. Perché? Perché da un lato, ci siamo divisi, e dall’altro, abbiamo adottato un sistema di gestione del potere assurdo. Mi sto riferendo alla regola dell’unanimità”.
Ma prima di affrontare le implicazioni rappresentate dalla regola dell’unanimità (“la regola più antidemocratica del mondo”) il professor Prodi affronta un altro grande tema, mai messo sul tavolo, ovvero quello del progressivo allontanamento degli Stati Uniti dall’Europa, definito oltre che politico ed economico, psicologico. In altre parole, l’atteggiamento di Trump verso il Vecchio Continente, secondo il professore, non è improvviso e inspiegabile, ma è il frutto di un lento cambiamento strisciante che è emerso in particolare con il candidato che ha avverato tutta una serie di condizioni favorevoli affinché diventasse esplicito.
“il cambiamento del rapporto è cominciato con l’avvento di Obama. Mentre Bush padre e figlio, sebbene su fronti opposti rispetto alle mie posizioni politiche, erano del tutto europei nell’approccio e nella cultura, Clinton lo diventò con la testa in forza della sua grande intelligenza, per Obama Singapore e Copenhagen erano la stessa cosa. Cosa vuol dire? Obama cominciò a comprendere che il grande avversario era la Cina e perse d’interesse rispetto a quel rapporto psicologico così forte con l’Europa che aveva caratterizzato fino ad allora il legame storico, politico, economico degli USA col Vecchio Continente “madre”. Un distacco che si concretizzò in quel progressivo allontanamento di tipo politico ed economico di cui si è accennato. Quindi, Biden. Biden ha ricucito in qualche modo il rapporto con l’Europa, a livello politico, con lo scoppio della guerra in Ucraina; ma ha lasciato intatto il fossato economico, mantenendo le barriere erette in precedenza, La rottura, tuttavia inaspettata, di Trump, non è nata dal niente, ma è il prodotto di un cambiamento più lungo”, Un cambiamento che dà nuova linfa alla guerra West contra East, e che si approfondisce con i nuovi dazi sul commercio e la radicalizzazione della contrapposizione ideologica. “Ma il vero problema è che, nella spartizione del mondo, gli USA non volevano più nessuno fra i piedi”.
E l’Europa, invece, poteva in qualche modo dire la sua. L’importanza del Vecchio Continente nelle politiche mondiali si toccò con mano, ricorda Prodi, quando si decise di costruire la moneta comune. Nei colloqui con le varie potenze che precedettero l’adozione dell’euro, Prodi ricorda un episodio illuminante della forza politica della decisione, alcune battute scambiate col presidente cinese, che disse che avrebbe fatto in modo di avere, accanto al dollaro, delle riserve di euro, in quanto “se accanto al dollaro c’è l’euro, c’è posto anche per la nostra moneta”; ovvero, declinato politicamente, si poteva concepire un mondo multipolare, in cui l’Europa aveva un ruolo significativo. Tutto questo, appena vent’ani fa. Perché l’Europa ha perso questo ruolo? Semplicemente, “per la mancata costruzione europea fino in fondo”.
La metafora con cui il professore esplicita la sua posizione è quella dell’Europa, “il più buon pane cucinato dalla politica, che ha assicurato due generazioni senza guerra, cosa che non succedeva dall’Impero romano”. Ma rimane un “pane mezzo cotto”. Ma poi, continua Prodi, “è arrivata la crisi finanziaria e l’Europa si è divisa”, arrestando un processo che fino ad allora era stato in ascesa. Ciò è avvenuto “perché di fatto sono cambiate le regole interne europee: dal potere della Commissione, che è organo sovranazionale, si è passati al potere del Consiglio, in cui siedono i vari capi di Stato e di governo. In questo secondo organo, è lampante che ogni capo di Stato “difende” il proprio Paese”. E qui casca l’asino, direbbe qualcuno, perché la regola dell’unanimità, in un organo che rappresenta gli interessi nazionali, è uno strumento che paralizza l’azione politica. Inoltre, non riuscendo a passare dalla regola dell’unanimità a quella della maggioranza, non si riesce a stare al passo della politica internazionale, che richiede per sua natura che vengano prese decisioni rapide e chiare. La mancanza di rapidità e chiarezza, nelle grandi crisi mondiali, da parte dell’Europa è stata in qualche modo annullata dalla presenza della Nato e dell’ombrello americano. Ma ora che l’ombrello americano viene meno, il problema è cosa prospetta il futuro.
In altre parole, data la situazione, cosa fare? “Bisogna partire dal fatto che i singoli paesi europei non hanno più il potere di contare nel mondo bipolare che si è concretizzato. L’Unione Europea diventa indispensabile per la sopravvivenza economica e politica del Vecchio Continente, ma non è preparata a questo”.
Un esempio delle conseguenze che derivano dalla debolezza europea è la situazione del Mediterraneo, che Prodi definisce “drammatica”. L’assenza dell’Europa ha consegnato di fatto l’area mediterranea a Russia e Turchia, tanto da poter affermare, fra guerre, tensioni, flussi di migranti, instabilità create da situazioni fuori da ogni controllo come la Libia, che il Mediterraneo giaccia in una condizione peggiore oggi rispetto all’epoca dell’Impero Ottomano. Un modo per uscirne, da una situazione che è un vero rompicapo, è individuata da Prodi nella costruzione di Università paritarie, che abbiano sede allo stesso tempo ad Atene e al Cairo, a Napli e a Rabat, con corsi che comincino da Medicina ad Agraria, per formare 500mila ragazzi che crescano insieme. Un grande progetto che, dice il professore, chiamando in causa l’ex sindaco di Firenze Dario Nardella ora deputato europeo, “è connaturato a Firenze, e consente, quando questi ragazzi sian formati, di potere parlare veramente di Mediterraneo”.
Per fare l’Europa, ora, serve una grande concentrazione per costruire tre pilastri: difesa, politica estera, fiscalità. Ed ora, ribadisce Prodi, “per difendere i nostri confini serve una difesa europea. L’ombrello americano è stato chiuso, in discussione intelligence, scambio informazioni, telecomunicazioni”. Se rimaniamo separati come siamo, continua, “i soldi della Difesa saranno buttati via”, mentre “avere un nucleo di difesa comune è una necessità di questo momento storico. Questa posizione può permettere all’Europa si avere un ruolo”. Il richiamo (e la critica) al ReArm di Ursula von der Leyen è trasparente.
L’importanza in politica della forza che deriva dall’unità e dalla compattezza, è particolarmente importante in questo periodo, in cui potrebbe avvenire che si incrinino i rapporti commerciali, sia pure fortissimi, con gli USA. Il vero momento critico sarà quando l’Europa, se viene a mancare questo rapporto commerciale, dovrà sostituirlo con altri Paesi, ioè, serve un’apertura verso tutto il resto del mondo: Cina, India, Africa. Vedremo quello che sarà perché ogni giorno Trump cambia politica” . Le ipotesi sono svariate, ma un grande giocatore che non può essere ignorato al tavolo è senz’altro la Cina. Strada difficilissima, in cui dovranno, se si vuole percorrerla, essere fatti grandi passi indietro da entrambi i soggetti, ovvero Cina ed Europa. L’importanza della forza dovuta alla compattezza è evidente, quando si pensi che il deficit commerciale di USA e Europa nei confronti della Cina è di 300 miliardi di dollari all’anno, in aumento, come ricorda Prodi, dopo le prime barriere erette da Obama. Ma nelle sue dichiarazioni bellicose, Trump è stato molto più duro con l’Europa divisa che con la Cina compatta. .
Infine, la prospettiva. “Le elezioni che hanno visto avanzare i partiti non amici dell’Europa, hanno visto anche emergere strane dinamiche, come il riavvicinamento della Germania alla Francia. È essenziale che Francia e Germania siano vicine, in quanto entrambe necessarie per una vera politica unitaria europea”.