Processo Charlie Hebdo: chi attenta alla libertà di espressione

Parigi – Un processo fiume che per la sua portata storica verrà filmato si è aperto oggi a Parigi: sul banco degli imputati quattordici persone accusate di complicità negli attentati che cinque anni e otto mesi fa costarono la vita a 17 persone e falciarono l’intera redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo”.

Alla sbarra non sfileranno gli autori materiali delle azioni terroristiche perché rimaste uccise in scontri con la polizia, ma solo quello che l’avvocato di “Charlie Hebdo” , Richard Malka, ha qualificato di manovalanza, persone che hanno in gran parte fornito soprattutto logistica e sostegni vari alle cellule islamiche che hanno agito.  Solo un paio sono sospettate di aver anche fornito le armi e rischiano l’ergastolo.

Dai due mesi previsti di udienze dovrebbero essere precisate più nel dettaglio le singole responsabilità e anche l’andamento di quei tre giorni che nel gennaio del 2015 sconvolsero la Francia, e non solo.  L’ondata del terrore era iniziata il 7 gennaio quando i due fratelli Kouachi avevano sterminato 12 redattori del giornale  reo di aver pubblicato vignette ritenute blasfeme per i musulmani per poi culminare due giorni dopo con l’attacco all’Hyper Casher  in cui persero la vita quattro persone.

Il processo, secondo l’avvocato sarà importante per la Francia anche perché permetterà un necessario dibattito sulla libertà di espressione. Non a caso ieri Charlie Hebdo ripubblicava le vignette che avevano scatenato la rappresaglia dei fratelli Kouachi. Caricature di Maometto (che  avevano pubblicato, nel 2006, cioè anni prima dell’attentato, per solidarietà con i vignettisti danesi presi di mira dagli islamisti) riproposte per chiedersi se sia accettabile rispondere con il fuoco alla satira.

La dimensione politica del processo è innegabile. Lo stesso presidente Emmanuel Macron ha difeso oggi il diritto alla blasfemia ricordando che dall’inizio della Terza Repubblica  esiste in Francia una libertà di blasfemia che è unita alla libertà di coscienza”. “ Il mio compito è quello di proteggere tutte le libertà”, ha aggiunto Macron che non ha voluto fare commenti sulla decisione del giornale di pubblicare alla vigilia dell’apertura del processo le vignette della discordia. Decisione che è stata approvata del resto dal 59% dei francesi  in nome della libertà di espressione ma non dal 69% dei musulmani che l’hanno ritenuta una provocazione.  E che ancora oggi al 18% non condannano l’attentato al giornale (contro l’8 % della popolazione)

Il dibattito sulla libertà di espressione proprio mentre, secondo alcune pubblicazioni, il rispetto della laicità nelle scuole è in crescente pericolo. Anche perché è un concetto quasi sacro per la società francese che però ora stenta ad essere globalmente condiviso: secondo un sondaggio pubblicato oggi il 29 % dei musulmani interrogati ritiene l’islam incompatibile con i valori della società francese e il 40%  dà la priorità alle sue convinzioni religiose rispetto ai valori della repubblica .

L’avvocato Malka, in un’intervista al settimanale “Le Point” , si è mostrato molto preoccupato invece della latitanza degli intellettuali e in particolare del “blocco di sinistra, storicamente legato alla libertà di espressione… abbia iniziato a incrinarsi” e invece di difendere come in passato questa libertà fondamentale ha iniziato a fare dei distinguo cosicché tutto quello che poteva essere tollerato dai cattolici non poteva esserlo dai musulmani in quanto non “erano in grado di capire lo humour , non avevano abbastanza distanza dalla religione per accettare la caricatura e che bisognava rispettarli”.

“Rinunciare a esigere da un musulmano che accetti la critica della sua religione, così come un protestante o un ebreo,  questo è razzismo” ha aggiunto Malka, ricordando che anche secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo  per riuscire ad addomesticare le passioni religiose, la libertà di espressione deve essere la più ampia possibile  anche quella che “ferisce, urta e sciocca”.

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