Firenze – Ad eccezione di alcuni conflitti difensivi come la seconda guerra mondiale, quando le potenze alleate si opposero all’’aggressività nazi fascista, tutte le guerre sono deplorevoli e irrazionali. Ma la Grande guerra che scoppiò, di fatto il 1° agosto 1914 e che comportò milioni di morti e sofferenze senza fine, fu anche assurda e per molti aspetti paradossale.
Infatti non solo era un conflitto tutt’altro che inevitabile, ma le grandi potenze non avevano interessi diretti da difendere e si affrontarono prevalentemente per ragioni di prestigio. Addirittura, i due blocchi contrapposti, memori di dome erano state risolte alcun e crisi neio decenni precedenti pensavano di poter tirare la corda per ottenere condizioni più favorevoli si resero conto troppo tardi che non potevano più fermarsi sull’orlo del precipizio,
In passato, a proposito delle cause della prima guerra mondiale, si è parlato della deriva inarrestabile di tensioni accumulate, come l’antagonismo navale anglo-tedesco, i contrasti austro-russi, l’esprit de revanche della Francia, la tendenza egemonica della Germania: una sorta di massa critica che avrebbe prodotto una reazione a catena.
Ma la storiografia più recente ha sottolineato che fu una serie di valutazioni erronee a portare l’Europa alla catastrofe.
Anzitutto si sottovalutò l’importanza che i Balcani, (un’area considerata marginale nel contesto europeo), avevano a causa della loro posizione strategica di ponte tra oriente e occidente e tra Europa continentale e Mediterraneo.
Un’importanza accresciuta da fattori contingenti come la crisi dell’Impero ottomano che poneva in primo piano il possesso degli Stretti e, addirittura, la conquista di Costantinopoli.
Per la Russia la posta in gioco era il predominio nel Mar Nero.
C’erano poi alcuni fattori che spingevano i due blocchi (Austria e Germania da un lato, Inghilterra, Francia e Russia dall’altro) a stringere le fila. Come ha sottolineato Niall Ferguson, le potenze dell’Intesa ritenevano che la Germania avesse una volontà egemonica sull’intero continente e i militari tedeschi ritenevano che il riarmo russo e francese li avrebbe messi in condizioni d’ inferiorità; quindi meglio battersi nel 1914, piuttosto che negli anni successivi.
Spettava ai rispettivi governi fugare i timori, dato che non esistevano contrasti insanabili. Ma non avvenne e questi fattori agirono in profondità condizionando ogni mossa delle diplomazie.
Dopo l’attentato di Sarajevo nel quale erano stati ucciso l’arciduca austriaco Francesco Ferdinando e la moglie Sofia , si ritenne che alla prevedibile reazione austriaca avrebbe fatto seguito una mediazione internazionale, ma si sottovalutò il carattere cruciale di quell’area per l’Austria-Ungheria.
In particolare, la politica si muoveva a velocità inferiore rispetto ai militari. Il timore di essere sorpresi da un attacco improvviso accelerava i tempi della mobilitazione di masse di armati che era difficile fermare perché il “nemico” adottava contromosse altrettanto celeri.
Nel XIX secolo gli eserciti coprivano distanze giornaliere di circa 22 km. Nel 1914, i treni potevano percorrere circa 70 km all’ora. In passato, per combattere su più fronti si dovevano dividere le proprie forze; la ferrovia generò la convinzione che si potesse affrontare un nemico alla volta con l’intera massa d’urto.
Un’ipotesi errata perché la guerra di trincea avrebbe impedito una rapida conclusione del conflitto. Si sarebbe capito più tardi che gli spostamenti delle truppe erano più facili in fase difensiva perché si poteva utilizzare il treno per chiudere le falle negli schieramenti sotto pressione ma non per avanzare.
I militari e i governi di entrambe le coalizioni erano però condizionati dal Piano Schlieffen che si basava sulla guerra-lampo. E anche il piano XVII, adottato in Francia, aveva una proiezione offensiva perché tutti gli stati maggiori erano fautori della guerra di movimento
La politica, invece, aveva ancora i ritmi del XIX secolo. Certo, i governi utilizzavano il telegrafo e il telefono; si osservava, però, il rituale dei dispacci e delle note diplomatiche consegnate tramite le ambasciate, mentre sarebbero servite comunicazioni dirette tra i capi di Stato.
Nei giorni successivi all’attentato di Sarajevo le diplomazie ritenevano di poter arginare la crisi e il trascorrere di alcune settimane senza avvenimenti di rilievo portò a sottovalutarne la gravità. Infatti, Francesco Giuseppe chiese di accertare le responsabilità della Serbia prima di ogni misura di ritorsione. Poi si recò a Bad Ischl, dove era solito trascorrere le vacanze estive. La partenza fu considerata un allentamento della tensione ma questo lasciò mano libera agi ambienti militaristi.
All’inizio di luglio un’improvvisa accelerazione delle crisi giunse da Berlino. Quando Vienna chiese quanto potesse contare sulla Germania, Guglielmo II, rispose che avrebbe avallato ogni iniziativa. Fu il famoso assegno in bianco.
A Berlino, si riteneva che il conflitto austro-serbo sarebbe rimasto localizzato in quanto la Russia, per timore della Germania, si sarebbe limitata a una protesta ma forse si sarebbe potuto prevedere che Belgrado non si sarebbe piegata a un ultimatum che avrebbe messo a rischio la sua indipendenza. Il 7 luglio, a Vienna, il Consiglio dei ministri, forte dell’aiuto tedesco, decise di mettere alle strette Belgrado con un duro ultimatum.
Francesco Giuseppe lo giudicò molto pesante ma ammise che si doveva ristabilire il prestigio dell’Austria e approvò il testo senza modifiche.
Il kaiser, che era in crociera sul Baltico, conobbe in ritardo il testo dell’ultimatum, capì che era inaccettabile per la Serbia e fece ritorno a Berlino; ma era troppo tardi per evitare una nuova accelerazione della crisi. Ancora una volta, il difetto di comunicazione, determinò il perverso meccanismo dei “fatti compiuti”.
Belgrado accolse molte richieste si dichiarò disponibile a trattare su altre. Respinse solo quella relativa all’invio della polizia asburgica in territorio serbo: una clausola che l’avrebbe ridotta al rango di protettorato austriaco.
Ma Vienna giudicò la risposta insoddisfacente e alle 18 del 25 luglio ruppe le relazioni diplomatiche. Alle 21,30 il capo di stato maggiore Conrad ordinò la mobilitazione parziale togliendo ogni residua iniziativa ai diplomatici.
La miccia era ormai accesa. Ma la guerra avrebbe potuto essere ancora circoscritta, un po’ come è avvenuto in Corea, nel 1951 quando americani e sovietici si fronteggiarono senza coinvolgersi in uno scontro diretto.
Gli stati maggiori, però, erano ossessionati dal timore di trovarsi impreparati di fronte alle mosse degli avversari. In specie, la Germania faceva leva sulla lentezza della macchina bellica zarista. Ma l’esercito russo, consapevole del vantaggio logistico tedesco, anticipò i tempi e il 26 luglio Nicola II firmò l’ordine di mobilitazione parziale, da attuare entro 48 ore. Invano, il 26 luglio, la Gran Bretagna propose una conferenza internazionale. Ancora una volta, a diplomazia procedeva più lentamente dei generali. Il kaiser inviò un dispaccio a Nicola II per avvertire che stava cercando una soluzionedella crisi. Nello stesso momento, lo zar telegrafava a Guglielmo II d’impedire che l’Austria si spingesse troppo oltre. Se i due capi di Stato, che erano cugini e quindi si conoscevano bene, si fossero parlati, avrebbero forse trovato un compromesso.
Invece, i due messaggi, redatti con il tono impersonale della diplomazia, apparvero solo pretesti per far abbassare la guardia all’avversario.
Di conseguenza, bisognava evitare di essere attaccati all’improvviso. Invece della mobilitazione generale lo zar proclamò quella parziale ritenendo che la Germania l’avrebbe considerato un gesto distensivo. Ma, data la consistenza dell’esercito russo, oltre un milione di soldati si misero in marcia.
Quando la notizia giunse a Berlino il kaiser, preso dal panico proclamò la mobilitazione. Poi telegrafò a Vienna chiedendo che l’ultimatum fosse attenuato. La Russia, però, aveva già avviato la mobilitazione generale. Se il dispaccio di Guglielmo II fosse stato trasmesso prima, la guerra sarebbe stata probabilmente evitata.
Ormai non c’era più tempo. Il 1°agosto la Germania dichiarò guerra alla Russia, due giorni dopo alla Francia.
L’unica grande potenza che non prese parte al conflitto fu l’Italia: sebbene legata alla Triplice alleanza interpretò correttamente le clausole del trattato, che aveva natura solo difensiva mentre era stata l’Austria ad attaccare la Serbia. La propaganda interventista, però voleva la guerra contro l’Austria e prospettava una rapida avanzata su Trento e Trieste.
Il Parlamento aveva una maggioranza neutralista, i cui esponenti mettevano sul tavolo i rischi e i sacrifici che avrebbe dovuto sopportare un paese economicamente debole e dal potenziale bellico ancora inadeguato. E Giolitti faceva presente che l’Austria, impegnata sul fronte russo, avrebbe concesso Trento e avrebbe consentito che Trieste divenisse città libera, pur di non essere attaccata dall’Italia.
Ma gli interventisti agitarono la piazza, il Parlamento non se la sentì di sconfessare il governo che aveva già sottoscritto il Patto di Londra e l’Italia, nel 1915 , entrò nell’immane conflitto.