Premierato: sulla soglia di una rottura del sistema costituzionale

Gaetano Azzariti: “Una democrazia non è tale se salta l’equilibrio dei poteri”

Premierato e autonomia differenziata, un fatto è inequivocabile, e lo mette sul tavolo il costituzionalista Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale presso l’Università la Sapienza e presidente di “Salviamo la Costituzione” , nel corso del convegno tenutosi il 10 febbraio scorso a Firenze: se dovessero passare insieme riforma del premierato e autonomia differenziata, ci sveglieremmo in un altro sistema costituzionale. “Questo è un fatto, non un’opinione – dice Azzariti – la Destra auspica questo cambiamento di democrazia costituzionale, forse perché non è figlia di questa Costituzione. Laicamente, inviterei a fare questa riflessione: siamo disposti ad abbandonare il mondo del costituzionalismo moderno, del dopoguerra, pluralista e conflittuale? Questa è la partita in gioco, e non è poco”.

Eppure non è la prima volta che si tenta di cambiare il sistema costituzionale (ricordiamo i tentativi del 2006 e del 2016), ma questa volta è diverso, come sottolinea il costituzionalista. “In questa terza grande riforma costituzionale c’è un peggioramento, dal momento che si tratta di una rottura, non di una riforma costituzionale. Noi non viviamo in un periodo di crisi, perché le fasi di crisi sono fisiologiche. Etimologicamente parlando, crisi significa passaggio da una situazione di stabilità ad una situazione di altra stabilità. In questo caso si tratterebbe invece di una rottura perché ciò che emerge è anche la vittoria di una cultura politica e la sconfitta di un’altra. Devo riconoscere alla Destra più rigorosa che in qualche modo ha storicamente portato avanti una battaglia coerente, quella di aver sempre assunto il presidenzialismo come strumento per uscire da una democrazia pluralista a favore di una democrazia identitaria. Si tratterebbe perciò di una vittoria culturale. D’altra parte – continua Azzariti – la vittoria dell’autonomia differenziata sarebbe la vittoria della Lega, secessionista, si è parlato di secessionismo debole, ma è una vittoria storica di chi è il governo. La terza grande riforma, la separazione delle carriere dei magistrati, è una grande vittoria dei conservatori. Spiegato senza polemica, dal punto di vista analitico, è una vittoria che è stata preparata da trent’anni di regresso”.

Ma come finirà tutto ciò? “Per essere ottimisti, con un referendum – dice il costituzionalista – vale a dire, purtroppo, per la rozzezza dello strumento, con un sì-no. Ciò vuol dire che è necessario trovare la più ampia coalizione possibile”. Un’ampia coalizione perché, secondo il presidente di Salviamo la Costituzione, questa volta tutto si gioca sul bordo di un discrimine inaccettabile, che riguarda la scelta del capo. “Tutte le volte che si indica la scelta del capo invece di dare potere al parlamento, si indica la scelta di un orizzonte. Se si va a leggere i disegni di legge di FdI della scorsa legislatura, è chiaro che si vuole passare dalla democrazia pluralista alla democrazia decidente“. Il che configura il passaggio da una forma di democrazia a un’altra. Un concetto non sconosciuto anche a certi gruppi che dovrebbero essere vicini a chi non vuole cambiare le regole fondamentali del sistema costituzionale nato dalla battaglia per la libertà, e che hanno utilizzato proprio il concetto di “democrazia decidente”, contrapposto a quello di “democrazia rappresentativa” tacciato di vetustà. Insomma per certe correnti politiche, la “democrazia rappresentativa” pur utile nel secondo dopoguerra, ormai avrebbe esaurito il suo ruolo. Bisogna decidere, senza pensare a cosa e come. Una spirale che porta inevitabilmente di nuovo, al bisogno dell’unico Capo.

A conti fatti dunque, il limite insuperabile per Azzariti è proprio questo: il passaggio, magari senza neppure ricorrere alla volontà popolare (se si creano i presupposti per una maggioranza qualificata, ovvero con l’aiutino di qualcuno o qualche gruppetto che si sfila dal fronte del no), ovvero il passaggio da una forma all’altra di democrazia, dalla rappresentatività alla “decidenza” o identitarietà. Tutti termini che avrebbero ben poco a che fare col concetto di democrazia come comunemente (almeno fino ad ora, a partire da Polibio e a cascata giù giù fino a Montesquieu, Rousseau e via dicendo) inteso.

“Non ho nessuna intenzione di disconoscere la crisi in qualche modo della forma parlamentare – continua Azzariti – ma questa è la ragione per cui la mia opposizione, il mio “no”, guarda nella direzione della Costituzione inattuata. Da lì bisogna riprendere. Sono contro l’attuale sistema che ci ha portato politicamente verso una situazione di baratro e chiusura, perché voglio una democrazia che torni ai fondamentali, libertà eguaglianza, fraternità, i fondamentali della democrazia“.

“Sono inoltre convinto – prosegue Azzariti – che la verticalizzazione del potere abbia prodotto in qualche modo questo mondo. Non è vero che l’autonomia differenziata è contraria alla logica del capo, perché anzi, avremo i presidenti di Regione trasformati in “capi”, con il risultato di affidare la tutela dei diritti dei cittadini, delle loro istanze, dei beni comuni, “a due “capi”, invece che a dei consigli eletti: “da un lato il capo della nazione, dall’altro il capo della Regione”.

Tornando ai fondamentali della storia e dottrina della politica, “La regola aurea a proposito delle forme di governo è quella di mantenere l’equilibrio, perché se no, come spiegano i classici, la democrazia diventa altro: autocrazia, populismo, la logica del capo”.

Se l’equilibrio dei poteri è la parola magica, “a questa riforma – dice il costituzionalista – dell’equilibrio non importa nulla. La stabilità tanto ricercata è la democrazia dell’Uno, non del plurale. La democrazia in sé non vuol dire nulla: o la si qualifica, oppure non vuol dir nulla, tant’è vero che esiste anche la democrazia identitaria del capo. Bisogna giudicare le democrazie”.

Indiscutibilmente, ci sono forme presidenziali che sono democratiche (gli Usa), o il semipresidenzialismo francese. Ciò che regge la democrazia presidenziale statunitense, sono i pesi e contrappesi. Il capo dello Stato che sciolgie il Congresso è un colpo di Stato (Capitol Hill). Ad Ankara c’è una forma di governo presidenziale, Erdogan è un autocrate perché non ha contrappesi. La prima cosa da fare se si vuole una democrazia presidenziale, è necessario rafforzare il Parlamento. Altrimenti la degenerazione è sicura”.

Si sostiene qualcosa di straordinario, ovvero di completamente inusitato: In un sol giorno vogliamo eleggere il Capo e anche una maggioranza che gli deve dire di sì. L’esatto contrario della democrazia presidenziale. La fisiologia della forma di governo presidenziale è fare due elezioni, una per il parlamento e una per il presidente. Ovvero, due legittimazioni indipendenti e separate. Questa è la garanzia delle forme presidenziali equilibrate democratiche.

Dov’è il falso nella domanda “vuoi tu eleggere chi ti governa?”, che è ciò che il partito di maggioranza nel Paese chiede agli italiani.” La domanda corretta sarebbe : “vuoi tu che il capo del governo sia scelto da una minoranza del corpo elettorale?”. L’attuale governo ha il 59% di parlamentari, ha ottenuto un 45-47 circa di percentuale di voto, pari al 26-27% di votanti. Trasportando queste percentuali nell’eventuale nuova formula di elezione del presidente, si rischia di avere un Capo eletto da circa il 30% del corpo elettorale italiano”.

Sulla “stabilità”, una delle crisi della civiltà” è il fatto che le parole hanno perso il oro senso – dice il costituzionalista – dietro la parola stabilità ci sono almeno tre accezioni possibili, intanto la stabilità come governo che dura nel tempo. Ciò necessita di due cose: modifica del sistema dei partiti, ma soprattutto comprendere che “i partiti fanno governi che durano poco perché non sono in grado di determinare l’ indirizzo politico”. Su questo c’è molta confusione. “L’ultimo passaggio, il più pericoloso, per stabilità si intende il rafforzamento dei poteri di governo. Il nostro governo attuale ha troppo potere, ha assorbito tutto il potere del Parlamento. Il nostro problema costituzionale, che salvaguarda la democrazia, è il ripristino dell’equilibrio fra poteri. Ciò significa minori poteri al governo, maggiori poteri al parlamento, col riequilibrio del ruolo del Capo dello Stato. Infatti, i suoi poteri sono a “fisarmonica” , ovvero intervengono e si espandono nei momenti di crisi”.

Quindi, tirando le fila, urge un riequilibrio dei poteri, senza il quale la democrazia si trasforma in altro. E questo riequilibrio, secondo Azzariti, si ottiene con il rafforzamento dei poteri del Parlamento, la sottrazione di poteri dell’esecutivo, il che, paradossalmente, comporterebbe anche la diminuzione del ruolo del Capo dello Stato. Ma solo perché “il suo intervento non sarebbe più necessario”.

In foto Gaetano Azzariti

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