Prato – Il 4 maggio è la data che ufficialmente dà il via alla messa in moto delle aziende tessili del distretto pratese ma mancano ancora all’appello quelle del Pronto Moda cinese, i cui titolari sembra preferiscano ancora non alzare il bandone perché, come ha detto in una recente intervista Marco Wong, il consigliere comunale della Lista Civica Biffoni per Prato, “la situazione sanitaria non è ancora sotto controllo”.
Da ambienti vicini alla comunità cinese di Prato che conta attualmente circa 25mila addetti e 4.800 aziende di pronto moda fanno sapere che la riapertura dipenderà dalle scelte che farà ciascun imprenditore a seconda dell’andamento del mercato e sul numero dei contagi in Italia. E che non avrebbe senso riaprire se non c’è lavoro perché significherebbe caricare l’azienda di ulteriori costi.
E in merito alla decisione sulla ripartenza a data da destinarsi e che secondo alcuni voci sarebbe stata decisa altrove, fanno sapere che nessuno decide per gli imprenditori cinesi a Prato perché non esiste un “potere dall’alto” per i cinesi che lavorano all’estero, perché ciascuno agisce per conto proprio.
Dunque da lunedì previste diverse aperture di aziende cinesi in regola con i parametri sanitari ma i titolari saranno attenti alla situazione dell’economia reale perché essi dovranno decidere se continuare a restare aperti oppure optare per la chiusura. Perché oltre il rischio e la paura del contagio, c’è anche la preoccupazione del fallimento.
Chiariscono che anche la ripartenza nel loro Paese d’origine è avvenuta gradualmente dapprima con le produzioni, poi coi ristoranti d’asporto, e da pochi giorni con le scuole e centri commerciali. E che in Cina, ma anche a Prato, sugli aggiornamenti Covid-19 la popolazione segue gli esperti virologi, ma che poi è lo Stato che decide cosa fare per un ritorno alla normalità.
Emblematico il caso di Shanghai spiegato in una conferenza stampa a Pechino dal dottore Zhang Wenhong, direttore del Center for Infectious Disease dello Shanghai Huashan Hospital della Fudan University, che ha affermato: “La cooperazione multidisciplinare, l’osservanza dei principi sanitari basati su prove scientifiche e l’innovazione sono stati la chiave per ottenere risultati fondamentali nel trattamento dei pazienti positivi al coronavirus a Shanghai. E così il 30 aprile Shanghai aveva 339 casi confermati di infezioni trasmesse a livello locale e 308 contagiati arrivati dall’estero. Secondo le autorità sanitarie municipali, la città aveva registrato 7 decessi correlati alla sindrome Covid-19, mentre 597 persone sono state dimesse da vari ospedali locali dopo essersi riprese. ( Ansa Xinhua).
Mentre Zhong Nanshan, noto specialista cinese di malattie dell’apparato respiratorio, che ha scambiato idee sul controllo dell’epidemia con i rappresentanti di diciannove Paesi stranieri tra cui Giappone, Australia, Pakistan, Botswana, Vietnam, Russia, Nigeria e Banglades, a Guangzhou, città nel sud della Cina, ha detto che i paesi dovrebbero combattere COVID-19 come fossero uno solo, e che “dovremmo portare avanti una maggiore cooperazione medica” insieme alla diagnosi precoce, l’osservanza della quarantena e il trattamento immediato unito alle forniture mediche.