La tragedia di Pompei potrebbe essere alla soglia di una ricostruzione più veritiera e scevra di impressioni e preconcetti dettati dagli ultimi gesti in cui giacquero per sempre i cittadini della città romana cancellata dal Vesuvio nel 79 d.C.. Nel corso di una delle maggiori eruzioni della sua storia, il vulcano inseguì i pompeiani prima con i suoi lapilli che sfondarono tetti, case, edifici pubblici, portando ovunque le sue ceneri, poi con i suoi flussi piroclastici che avvolsero e inglobarono i corpi in un compatto deposito di cenere, preservandone le fattezze.
Una ricerca internazionale pubblicata su Current Biology, guidata dall’Università di Firenze, dall’Università di Harvard, dal Max Planck Institute di Lipsia, su istanza scientifica del Parco Archeologico di Pompei, basata sullo studio del DNA che si trova nei resti ossei presenti negli ormai famosi calchi che nel 1971 vennero ottenuti colando il gesso all’Interno delle impronte vuote lasciate dai corpi, sta per rivedere spesso radicalmente la storia della città, scoperta nel 1748. Un primo elemento significativo è che alle prove del DNA i sessi e le relazioni familiari degli individui non corrispondono alle interpretazioni tradizionali che erano state formulate (“Ancient DNA Challenges Prevailing Interpretations of the Pompeii Plaster Casts” https://doi.org/10.1016/j.cub.2024.10.007). Una seconda evidenza sempre legata al DNA , metterebbe in luce la composizione della popolazione a livello di ascendenza genomica, che ne scopre la varietà di provenienza ( in particolare dal Mediterraneo orientale) confermando la natura cosmopolita dell’impero romano.
L’attività del team ha intanto evidenziato che le relazioni genetiche, il sesso e l’ascendenza ipotizzate a partire dall’aspetto dei calchi e dalle loro posizioni, devono essere riscritti. Estraendo il DNA dai resti scheletrici, assai frammentati e mescolati al gesso, traendolo da 14 degli 86 calchi che erano all’epoca in fase di restauro, la storia narrata è cambiata.
“Questo studio – ha affermato David Caramelli, docente di Antropologia all’Università di Firenze – dimostra quanto l’analisi genetica possa arricchire notevolmente narrazioni elaborate sulla base di dati archeologici. Queste scoperte sfidano interpretazioni di lunga data, come l’associazione dei gioielli alla femminilità o l’interpretazione della vicinanza fisica come indicatore di relazioni biologiche. Ugualmente – continua Caramelli –, i dati genetici complicano le semplici narrazioni di parentela: nella Casa del Bracciale d’Oro, che è l’unico sito per il quale abbiamo dati genetici di più individui, i quattro individui comunemente interpretati come genitori e i loro due figli, in realtà non sono geneticamente imparentati”.
“I dati scientifici che forniamo non sempre sono in linea con le ipotesi comuni”, ha spiegato David Reich dell’Università di Harvard. “Un esempio degno di nota è la scoperta che un adulto che indossava un braccialetto d’oro e il bambino che teneva in braccio, tradizionalmente interpretati come madre e figlio, sono risultati essere un maschio adulto e un bambino non imparentati. Allo stesso modo, una coppia di individui che si pensava fossero sorelle, o madre e figlia, in realtà include almeno un maschio genetico. Queste scoperte sfidano le ipotesi tradizionali“.
“I nostri risultati hanno implicazioni significative per l’interpretazione dei dati archeologici e la comprensione delle società antiche”, ha affermato Alissa Mittnik, del Max Planck di Lipsia. “Evidenziano l’importanza di integrare i dati genetici con le informazioni archeologiche e storiche per evitare interpretazioni errate basate su ipotesi moderne. Questo studio sottolinea anche la natura diversificata e cosmopolita della popolazione di Pompei, che riflette modelli più ampi di mobilità e scambio culturale nell’Impero romano”.
Inoltre – ha aggiunto David Caramelli -, è possibile che lo sfruttamento dei calchi come veicoli per la narrazione abbia portato alla manipolazione delle loro pose e del loro posizionamento da parte dei restauratori in passato. I dati genetici, insieme ad altri approcci bioarcheologici, offrono l’opportunità di approfondire la nostra comprensione delle vite e dei comportamenti delle persone che furono vittime dell’eruzione del Vesuvio”.
Il Direttore del Parco di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, afferma “le analisi del DNA antico sono ormai da anni parte dei protocolli di studio del Parco di Pompei, e non solo per quello che riguarda le vittime umane: altre linee di ricerca riguardano, ad esempio, le vittime animali. Allo stesso modo, il Parco, attraverso il laboratorio di ricerche interno, coordina una serie di progetti di ricerca relativi alle analisi isotopiche, alla diagnostica, alla geologia e alla vulcanologia, e non ultima la reverse engineering…
Tutto questo contribuisce a una visione più completa e moderna dell’interpretazione dei ritrovamenti archeologici, e non solo: Pompei si trasforma in un vero e proprio laboratorio per la creazione di nuove metodologie, nuove risorse e confronti scientifici. In quest’ottica, questo studio si configura come un tassello di un vero e proprio ribaltamento di prospettiva, in cui il sito stesso si pone al servizio dell’archeologia e della ricerca.”
Nelle foto allegate:Fig.1: gruppo di calchi da Casa del Bracciale d’Oro. calchi n. 50-51-52, data di creazione 1974 (per gentile concessione del Parco archeologico di Pompei)