Il grande assente di questa morente e pressoché inutile (stanno già pensando alle elezioni più o meno dell’autunno prossimo) campagna elettorale è stata la risposta ai problemi concreti della gente. O meglio e prima ancora le domande su essi. A parte vaghi accenni sulle tasse, la cui diminuzione alla luce del debito pubblico giace in un inspiegabile limbo, e qualche tirata ideologica da vecchia guardia, il nulla o quasi più assoluto. Il vuoto pneumatico. Grande colpa nel non mettere i politici davanti al fatto compiuto, è bene sottolinearlo, l’ha anche l’informazione italiana. Che da decenni vivacchia semplicisticamente sull’inutile politichese da posizionamento geografico dei candidati di turno.
Una larga responsabilità nella deriva da elusione dei problemi che i politici di quasi tutte le risme hanno spudoratamente intrapreso è dunque anche nostra. Anzi sommamente nostra. Come si spiega altrimenti, assieme ai vari abomini da meccanismo elettorale, la protervia con cui ancora si parla di terzi poli o peggio ci si riempie la bocca di destre, centri e sinistre rievocando un linguaggio ormai in disuso e che non suscita più nessuna emozione nemmeno nei circoli bocciofili dopo una sonora bevuta? Ci sono ancora direttori di importanti organi di informazione che confondono, anzi sostituiscono letteralmente col politichese i problemi reali della politica per semplice ignoranza o maggior facilità nell’espletamento del proprio ruolo senza un aggiornamento per esempio sulle diverse forme di governo repubblicano o i rapporti economia-società. Molto meglio dunque nascondersi nel “comunismo” o “fascismo” di turno o, come da terminologia oggi vincente, nei vari “demagogismo”, “populismo”, “qualunquismo”. Ovvero, oltre le parole niente.
Dopo il nostra culpa, nostra culpa, nostra maxima culpa, chiudiamo col pagellone degli aspiranti premier, lettura del tutto personale da parte dello scrivente e poco o punto condivisa dal non numeroso corpus redazionale di 7per24; voti e commenti si riferiscono, si badi bene, solo ed esclusivamente alla campagna elettorale.
Beppe Grillo: 8. Il comico genovese ha messo in atto tutte le arguzie dello scafato cabarettista riempiendo le piazze. Il grillismo è di moda e le facce sconosciute giovano assai. Pagano gli argomenti tecno-energetici sullo sfondo di un decadente ancien-regime, soprattutto quando gli avversari bollano il tutto come “populismo”
Silvo Berlusconi: 7. Si votasse a fine marzo, sarebbe capace di ribaltare un pronostico che fino a qualche settimana fa (visto anche il “chiacchierato” passato) lo dava già per morto e rinchiuso. Nel silenzio imbarazzato di chi non sa ancora con chi allearsi, il suono del pifferaio alletta e rintrona senza pudore come ai “bei” tempi. Promesse più che da marinaio, addirittura da invincible armada
Oscar Giannino: 6 di simpatia. Il suo “taci miserabile” (rivolto a un rettore d’ateneo candidato che ha fatto ritirare un docente sottoposto candidato altrove) rimbomba ancora ma si infrange contro lo scivolone vanesio del millantato master chicaghino per pavoneggiarsi su mai ottenuti risultati accademico-economici
Antonio Ingroia: 5. Se la sinistra vagamente massimalista dovesse risvegliarsi per gli appelli “anema e core” del magistrato in aspettativa, cadrebbe invece in un sonno catatonico, forse l’ultimo, anticamera della morte. La sinistra è passione; quella di Ingroia invece è patimento dormiente. Crozza ha colto nel segno del personaggio lì per caso
Pierluigi Bersani: 4. Dal pessimismo cosmico leopardiano all’indecisionismo spaziale bersaniano, ovvero la storia di un non-leader che ha suicidato il partito per l’ennesima volta (con la compiaciuta complicità dei principali maggiorenti) trombando il Grillo del Pd, alias Matteo Renzi. Ovvero l’assoluta incapacità di lettura dei tempi correnti al potere (?). Con l’aggravante delle incomprensibili immagini verbali tratte dal repertorio di Arcimboldo
Mario Monti: 3. Il Monti pre-elettorale ha sperperato lo scarso tesoretto di “credibilità” accumulato dal Monti premier (la par destruens non seguita però dalla par costruens), rimangiandosi tutto e il suo contrario in un brevissimo volgere di tempo. Il peggior repertorio politicante possibile, a cominciare da quel “non mi candido” alla vigilia del cinguettìo notturno che ne annunciava invece la sua “discesa” o “salita” nell’agone. Dando l’immagine interna di un dilettante allo sbaraglio che stride col Monti europeo. Ha dovuto poi scegliere le più tremebonde tra le stampelle possibili (altrimenti fuori dai giochi) che rispondono al nome di Casini e Fini, letteralmente sinonimi di attaccamento smodato alla poltrona. Figliol prodigo di se stesso, una sorta di Berlusconi tecnico e schizofrenico (vuole cancellare le tasse da lui imposte qualche giorno fa), un pifferaio senza piffero (in tutti i sensi). A suo agio con la cagnetta pelosa come Ratzinger tra una folla sudata