La lettera di Legambiente. In una cosa il dott. Balestri ha ragione: il principio da noi proposto secondo il quale lo sfruttamento degli agri marmiferi comunali deve essere gestito dal Comune nell’interesse dei suoi cittadini non ha riscontro nella realtà contemporanea italiana dove, “molto modernamente”, i beni comuni, il patrimonio e il denaro pubblico sono considerati terra di saccheggio (a partire dai fondi parlamentari, regionali e delle grandi aziende pubbliche per finire ai beni comunali e delle municipalizzate) da parte di politici e imprenditori senza scrupoli. In questo contesto è quasi inevitabile che la nostra proposta in base alla quale il Comune deve usare i suoi beni per migliorare la qualità della vita dei carraresi sia considerata dall’Associazione industriali un’idea peregrina, antistorica e addirittura “sovietica”.
Forse il dott. Balestri considera ottocentesca anche la città di Parigi che, dopo aver privatizzato l’acqua in ossequio alla “modernità”, è tornata a renderla pubblica con grande vantaggio dei suoi cittadini. Dubitiamo tuttavia che, nonostante la sua “modernità”, il dott. Balestri, se dovesse affittare una casa di sua proprietà, ne lascerebbe determinare il canone all’inquilino o, in caso di disaccordo, ricorrerebbe ad un arbitro per fissarne il prezzo. Perché allora considera moderno mantenere l’arbitrato per il canone delle cave?
Insomma, per un privato è logico e soprattutto moderno sfruttare i propri beni per trarne profitto; se però lo fa il Comune a vantaggio dei propri cittadini diventa antiquato: moderno è dunque, secondo l’opinione di Balestri, lasciare che i beni pubblici siano sfruttati da pochi privati.
Relativamente all’Osservatorio dei prezzi del marmo, il punto non è la sua minore o maggiore modernità. Il dott. Balestri teme che tale strumento porti alla luce le clamorose sottostime del valore di mercato del marmo e, ancor più pericolosamente, determini un aumento dei canoni delle cave. Dove si andrebbe a finire di questo passo, si chiede Balestri? Gli imprenditori dell’escavazione, solo perché sfruttano un bene pubblico, dovrebbero versare al Comune parte dei loro profitti per consentire al Comune di pagare la strada dei marmi, di mettere in sicurezza il territorio, di sistemare gli edifici pubblici pericolanti, di fornire servizi ai propri cittadini? Sarebbe una cosa impensabile, antistorica, «una roba da Unione Sovietica degli anni ’20» come lui afferma!
Ebbene sì, lo ammettiamo, siamo “antiquati”; riteniamo infatti che il patrimonio pubblico (quali sono gli agri marmiferi del Comune di Carrara) debba essere gestito a vantaggio della comunità, pur consentendo un giusto profitto a chi ne ha la concessione, sempre che lavori nel rispetto delle regole.
Infine, anche l’Europa è antiquata quando impone la direttiva Bolkestein? O non si muove piuttosto nel solco della modernità, dal momento che favorisce la libera concorrenza tra imprenditori e il profitto per il proprietario delle spiagge e dei beni demaniali (cioè lo Stato)? Non sarà antiquato il dott. Balestri che vuole conservare per gli imprenditori la rendita di posizione di cui hanno goduto, ahinoi, per troppi anni?
La risposta di Andrea Balestri (Confindustria Carrara)
Vista con il dovuto distacco, la cosa bizzarra delle ripetute polemiche tra ambientalisti e associazione industriali è l’impossibilità di un confronto pacato, dove si sostengono le proprie posizioni tenendo conto e rispettando quelle degli altri. Provo qui a chiarire in forma diretta il senso del mio commento riportato, con qualche accento in più come sempre accade in questi casi, nell’intervista e a spiegare meglio perché non ritengo “moderna” la proposta presentata da Legambiente.
Nel nostro Paese, di fronte agli innumerevoli casi di dissesti finanziari, faticosamente si sta affermando la consapevolezza che il settore pubblico deve “amministrare” e non “gestire”; Legambiente ritaglia invece ruoli diretti di gestione al Comune riportando (questo resta ovviamente un giudizio personale) indietro la lancetta del tempo. Credo, proprio perché ritengo che il settore pubblico svolga un ruolo importantissimo per gli interessi collettivi, che una “amministrazione” rigorosa, possibilmente di facile comprensione, possa assicurare risultati più vantaggiosi in termini di interesse collettivo.
Potrei obbiettare ai numerosi pregiudizi che farciscono tutta la nota (terra di saccheggio, imprenditori senza scrupoli, esclusivo interesse dei soliti pochi, rendite di posizione, mancato rispetto delle regole …) ma mi limito a poche cose che certamente non convinceranno Legambiente ma credo possano chiarire il mio riferimento alla mancanza di modernità e di vetero dirigismo economico.
Prendiamo, per esempio, l’arbitrato; non ho particolare simpatia per questo strumento. L’analogia con i canoni d’affitto è impropria così come il riferimento all’autodeterminazione (sic?) da parte delle imprese. Quando di sottoscrive il contratto d’affitto (esempio: tipo 4+4 anni; o meglio, come si tra imprese 7+7) si stabilisce il canone che resta fermo per la durata del contratto salvo adeguamento indice prezzi. Il regolamento del Comune prevede che il canone sia fissato in una percentuale del valore delle produzioni (e questo va bene) ma prevede anche che possa essere cambiato unilateralmente dal Comune ogni due anni. L’impresa, a fronte di un progetto di investimento che si chiude in una decina di anni (numero a caso), si prende il rischio di pagare al Comune una percentuale del valore delle produzioni, ma non sta in piedi da nessuna parte che questi possa cambiarlo ogni due anni. L’arbitrato non è uno strumento partigiano: serve solo a difendere l’impresa da un possibile errore (che non è ipotesi peregrina) del Comune nel quantificare i prezzi dei marmi. Alla fine dell’arbitrato il Comune incassa esattamente quello che deve avere e non c’è pregiudizio per la “vita dei carraresi”.
Per quanto riguarda le concessioni, non sono in discussione i principi generali della Bolkestein (che furono fortemente avversati proprio dai verdi nel Parlamento Europeo) quanto gli effetti della loro applicazione dirigistica burocratica, come lascia prevedere il modo in cui viene brandita da Legambiente.
Credo che sugli altri punti le divergenze possano essere in alcuni casi inconciliabili e su altri potremo scoprire che siamo più vicini di quanto si pensa. Quello che ci divide è la visione generale del modo in cui il settore pubblico può e deve regolare le attività economiche: Legambiente propende chiaramente per un ruolo diretto degli apparati pubblici (gestione); noi pensiamo che sia meglio, all’interno del quadro normativo stabilito nelle sedi competenti, fare leva sulle capacità organizzative imprenditoriali e su mercati regolati (amministrazione). Queste diversità, in ogni caso, non giustificano tanta acredine nel giudizio degli “avversari”.
Andrea Balestri