Pokémon mania: cos’è, chi ci fa soldi e perché Montale è meglio di Caterpie

Reggio Emilia –  “Meriggiare pallido e assorto – presso un rovente muro d’orto, – ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi”.

Per ritrovare questa atmosfera quasi tutti gli anni passo qualche giorno di vacanza a Monterosso, alle Cinque Terre. Ma quest’anno oltre a merli, serpi, zanzare, formiche e altri animali cari a Montale ho incontrato anche altri generi di esseri.

Una prima avvisaglia l’ho avuta giovedì 21 luglio verso sera, mentre con mio figlio Tommaso camminavo lungo il sentiero sovrastante il paese che passa proprio a fianco del cimitero in cui è presente la tomba di famiglia dei Montale, dentro le mura di quel che resta dell’antico Castello, sulla sommità del colle che cadendo a picco sul mare separa il borgo vecchio da Fegina. Lì accanto sta il convento dei cappuccini nella cui chiesa si può ammirare la Crocifissione di Antoon van Dyck. Il luogo è silenzioso, isolato, e natura e arte sono in connubio quasi perfetto.

Incrociamo tre ragazzi di circa tredici anni in costume e ciabatte. Strano, al più si incontra qualche passeggiatore, spesso inglese ma comunque straniero. I giovani sono in fibrillazione, “c’è Pikachu! c’è Pikachu!!!”. Mio figlio Tommaso, da dietro, sul sentiero, produce una sonora risata e dice loro: “Ma che Pikachu, è Spearow”. Mi fermo, chiedo spiegazioni che ottengo rapidamente. C’era Spearow di fianco a me. Non mi ero affatto accorto che Tommaso, smartphone acceso in tasca, stesse giocando a Pokémon Go.

Li considero un gruppo di originali, ma sono già un po’ incuriosito. Il gioco infatti, mi spiegano i quattro, sfrutta la posizione del giocatore che, arrivato nelle vicinanze di un Pokémon, può cercare di catturarlo. I Pokémon sono dei piccoli animali immaginari (pokemon sta per pocket monster) che il giocatore, una volta catturati, può fare crescere in dimensione e potenza per eventualmente partecipare a dei combattimenti contro Pokémon di altri giocatori. Ogni giocatore si crea in realtà dei suoi obbiettivi: chi di avere tutti i Pokémon, chi di avere quelli rari, chi di battere altri giocatori fino a controllare una palestra, luogo in cui appunto avvengono i combattimenti.

La mattina dopo stiamo per arrivare in spiaggia a Fegina, prima de Il Gigante, e all’ingresso del bagno, dove si trova un parchetto giochi, c’è un assembramento di una trentina di persone di tutte le età. Non faccio in tempo a chiedermi cosa facciano lì che Tommaso mi dice: “Hanno buttato un’esca”.

Il gioco, che è una vera applicazione di realtà virtuale sviluppata dalla Niantic. Startup fondata nel 2010 all’interno di Google nel 2015 diventa spin off, Niantic si occupa di realtà aumentata: la app Pokémon Go, è realizzata dalla Niantic in collaborazione con The Pokémon Company, del gruppo Nintendo. La app prevede che sulla mappa geografica siano ben localizzati dei punti ‘di interesse’ che corrispondono a luoghi fisici ben precisi. In questo caso il luogo fisico è il parco giochi davanti ai bagni Fegina.

Guardando sulla mappa che il gioco propone, nel punto del campo giochi c’è un segnalino. Avvicinandosi nel raggio di pochi metri dal punto indicato si entra nel raggio di azione del pokestop e si può interagire con lui. Tipicamente il pokestop regala pokeball e altri strumenti utili nel gioco. Le pokeball sono essenziali perché è proprio lanciando una pokeball contro un Pokémon che è possibile, se il lancio è ben fatto, catturare il Pokémon, che viene chiuso nella pokeball e poi messo in un ‘recinto’ insieme agli altri per essere allevato.

I punti di interesse hanno nel gioco altre funzioni: un giocatore, lì, può lanciare un’esca: i Pokémon selvatici, cioè ancora da catturare, vengono attirati dall’esca. Questo consente a tutti i giocatori nell’area del pokestop di catturarli. La cosa interessante è che ogni Pokémon attirato può essere visto e catturato da tutti i giocatori presenti, non solo da uno. Quindi su questo non c’è competizione, anzi. Tommaso si lancia nel perimetro del pokestop e comincia la cattura dei vari Pokémon.

Una signora molto simpatica e divertita, francese, di circa 40anni, si dice scherzosamente disgustata da uno dei Pokémon, a forma di verme, e ridendo dice di lasciarlo agli altri. Tommaso allora, dandosi un tono da saggio, le spiega che in realtà quel verme (si chiama Caterpie), insieme a Weedle e a Pidgey va assolutamente preso. Questo perché i tre Pokémon sono quelli che “evolvono” più facilmente. E facendo evolvere i Pokémon, il giocatore guadagna “punti esperienza” e può salire di livello. Questo è indispensabile per avere poi dei Pokémon forti che possano fare buoni combattimenti.

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A questo punto tutti ascoltano e soprattutto i piccoli cominciano a fare altre domande. Diverse non le capisco, capisco però che a un signore che chiede se è il momento per andare in una palestra e combattere (la palestra è in un punto lì vicino per cui, per raggiungerla, il signore dovrebbe fare circa 400 metri a piedi per arrivarci), Tommaso risponde che dipende da che obbiettivi il signore abbia.

Comunque ormai sono io il vero “catturato” e, in preda al demone del gioco, entrato al bagno mi scarico l’app (basta andare nello store), mi registro e per due giorni, aiutato da Tommaso, gioco per capire bene il funzionamento. Innanzitutto l’ho fatto perché c’era mio figlio disponibile: da solo sono sicuro che non avrei capito quasi nulla. Il gioco non ha un manuale che spieghi il funzionamento, anche se in rete, per gli interessati, ci sono diversi siti dedicati a Pokémon Go, dove i giocatori spiegano le regole e discutono tra loro. Quindi consiglio ai curiosi di procedere solo con qualcuno in grado di aiutare. Poi il fatto che nel gioco ci fosse un legame forte, sostanziale, con il mondo fisico, con il movimento, con gli spostamenti spaziali, mi è parso qualcosa di assolutamente potente. Dopo due giorni di gioco posso dire di avere avuto l’impressione di essermi imbattuto in una killer application.

Pokemon Go è un gioco, ma solo per modo di dire. Le aziende coinvolte (la Niantic, dietro cui c’è  Google, che ha investito milioni di dollari sul progetto di crescita della società e dei suoi prodotti, e The Pokémon Company, quindi la Nintendo) sono colossi globali. La sua realizzazione ha necessitato e necessiterà di grandi investimenti. È una grande operazione imprenditoriale insomma, su scala mondiale. Gli utenti sono milioni, sparsi ovunque. Tra loro ci sono ventenni che giocano alle varianti di Pokémon dai tempi della Game Boy, che hanno giocato per anni con le carte, e che ora sono approdati a Go. Ma ci sono bambini, ma anche mamme, papà e qualche nonno.

Il gioco ha una potenzialità impressionante. Gli esercizi commerciali possono fare domanda alla Niantic e farsi mettere un pokestop o palestre nei pressi del loro sito, richiamando lì tante persone. Essere nel gioco significa avere una grande visibilità: il gioco potrebbe veicolare messaggi pubblicitari a milioni di persone contemporaneamente. Il gioco in sé produce ricavi: le pokeball e gli altri strumenti si possono trovare ai pokestop ma si possono acquistare con la carta di credito con un click: e costano cari.

Siparietto: nel gioco, volendo, si può restituire ad un immaginario ‘professore’ un Pokémon catturato. Il professore in cambio dà una caramella. La caramella serve per evolvere i Pokémon ma una sola caramella è molto poco, soprattutto in rapporto allo ‘sforzo’ fatto per catturare il Pokémon. La nostra vicina di ombrellone, una simpaticissima e davvero snob signora milanese, ci fa: “Il professore di cui parlate è sicuramente Monti oppure Prodi. Quelli sono due tirchi, li conosco bene”. Risata generale. “Non ho purtroppo l’onore di conoscerli”, aggiunge il commenda, “ma dal quel che leggo credo di poter dire che non si chiama sicuramente Mussari”.

Subito dopo ha poi chiesto se tra i mostri ci fosse anche Trump. Tornando a bomba, Pokémon Go ha una grande potenzialità per diventare un grande motore di business, e anche sviluppare funzionalità da social, permettendo potenzialmente sia interazione fisica che virtuale tra i giocatori. Vedremo nelle prossime release, il gioco è nuovissimo, rilasciato appena il 15 luglio in Europa (dopo il debutto a inizio mese in Nuova Zelanda e Stati Uniti). Ovviamente non poteva mancare un rovescio della medaglia: per giocare è indispensabile avere attivata la localizzazione nello smartphone. E inoltre il sistema privilegiato di sottoscrizione dell’utenza è l’utilizzo di un account Gmail.

Google chiude cosi il cerchio, aggiungendo alla poderosa mole di informazioni sui propri utenti anche quella più preziosa: la loro posizione. La posizione ti permette infatti di sapere quasi tutto di una persona, cosa fa, cosa gli piace. Tanti ci avevano provato, ma senza grande successo.

Niantic, ora, ha la posizione 24 ore su 24 ore di milioni di appassionati di Pokémon Go. E cresceranno, perché dai primi giorni si è capito che sarà un grande successo. Grande opportunità di marketing quindi ma, stante le rivelazioni di Snowden relative alla NSA americana (National Security Agency), anche grande rischio per la privacy. La polemica negli Usa è vivace.

Concludendo, pur riconoscendo la potenziale grandezza in tutti i sensi di Pokémon Go, resto con Montale: camminando lungo il muro con “in cima cocci aguzzi di bottiglia”, preferisco continuare a guardare “file di rosse formiche” piuttosto che colonie di Caterpie. Tommaso invece dice che si tiene Pikachu e lascia a me gli ossi di seppia. “Per il momento”, aggiunge dopo una meditata sosta. Sotto Il Gigante c’è speranza.

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