Platero ed io

Solamente gli specchi di giaietto dei suoi occhi sono duri come due scarafaggi di cristallo nero.
Lo lascio sciolto, e va verso il prato, e accarezza teneramente con il suo muso, sfiorandoli appena, i fiorellini rosa, celesti, gialli… Lo chiamo dolcemente: "Platero?", e viene da me con un piccolo trotto allegro che sembra che rida, con il suono argentino di un sonaglio per bambini.
Mangia ciò che gli do. Gli piacciono le arance, i mandarini, l'uva moscatella, tutta d'ambra, i fichi scuri, con la loro cristallina gocciola di miele…
È tenero e coccolone come un bambino, una bambina…; però è forte e asciutto dentro, di pietra. Quando lo monto, le domeniche, per le ultime stradine del villaggio, gli uomini della campagna, vestiti a festa, si fermano a guardarlo: "È d'acciaio…". È d'acciaio. Acciaio e argento di luna allo stesso tempo.
(Traduzione: Elisa Rupnik)

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