Firenze – L’associazione ambientalista Greenpeace presenta un esposto alla Corte dei Conti contro la Regione Toscana. A fare scattare l’azione è una ormai annosa vicenda che riguarda lo sversamento in mare di 56 balle di rifiuti di plastica, per la bellezza di 65 tonnellate di plastica. Una vicenda che ad oggi non ha ancora conosciuto conclusione: la plastica si trova ancora nei fondali protetti del cosiddetto Santuario dei Cetacei, nel mare toscano. L’impatto della plastica sugli organismi marini e sull’intero ecosistema è sicuramente grave, ma altrettanto sicuramente non valutabile con certezza nei suoi profili più inquietanti, come ad esempio l’accumulo di microplastiche negli organismi marini destinati al consumo. Da segnalare che in zona si trovano 3 allevamenti di mitili. Sulla questione, Greenpeace ha prodotto un’inchiesta molto dettagliata, seguendo i vari passaggi di una vicenda con ogni probabilità sottovalutata. Titolo dell’inchiesta: “Un santuario di balle”.
La vicenda – Tutto ha inizio il 23 luglio 2015, quando la motonave IVY salpa da Piombino diretta a Varna, con il compito di portare il carico di 1.888 balle di rifiuti di plastica a incenerire in Bulgaria. Dopo circa un’ora dalla partenza, un’ avaria conduce il comandante a dar l’ordine di sversare in mare 56 balle. Sessantacinque tonnellate di plastica sprofondano nelle acque protette del Santuario dei Cetacei. “Dell’incidente – si legge nella sintesi dell’inchiesta di Greenpeace – nessuna autorità marittima sa niente fino al 31 luglio, quando una balla finisce accidentalmente nelle reti di un peschereccio nel Golfo di Follonica”.
Fra l’inizio della vicenda e l’attuale esposto, passano 5 anni. Ma il campanello d’allarme rosso scatta quando, il 4 maggio scorso, ISPRA dichiara lo stato di crisi ambientale. Infatti, come si legge nell’inchiesta dell’associaizone ambientalista, ad oggi “sono riemerse in maniera accidentale 16 balle (l’ultima lo scorso 17 giugno), il che significa che oltre 45 tonnellate di rifiuti in plastica si trovano in mare da quasi 5 anni, con gravissime ripercussioni sull’ecosistema marino”. Sula questione, si registra la durissima presa di posizione di Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace: “Che tutto ciò poi succeda nel Santuario dei Cetacei, che il Ministero dell’Ambiente include
nell’elenco delle Aree Marine Protette è una ulteriore aggravante: confermare che si può impunemente usare un’area protetta come una discarica di rifiuti destabilizza l’intero sistema legislativo a protezione dell’ambiente, e del mare in particolare”.
Torniamo a seguire il viaggio della motonave IVY. Il 2 agosto arriva a Varna, in Bulgaria, e nel corso dello scarico emerge che mancano 56 balle. “La Guardia Costiera di Piombino riceve notizia dell’ammanco dal notificatore della spedizione transfrontaliera, Eco Valsabbia srl. Nonostante l’evidenza dei reati commessi dal Comandante della IVY (mancata comunicazione di sinistro e inquinamento ambientale) e l’urgenza di intervenire per bonificare la zona compromessa, la Capitaneria di Porto di Piombino non dà comunicazione alla Procura”, puntualizzano da Greenpeace. Perché, dal momento che al riguardo, come spiega il senatore Gregorio De Falco, Capo della sezione operativa della Capitaneria di Porto di Livorno fino al 2014 e noto anche per la vicenda della Costa Concordia, è lo stesso codice penale, che indica sia la facoltà di verificare, che di svolgere indagini che, perlomeno “informare la Procura”.
Sintetizzando gli ulteriori passaggi, descritti molto bene dall’inchiesta realizzata e resa pubblica da Greenpeace, si passa, nel settembre 2015 dall’apertura di un procedimento penale da parte della Procura di Grosseto a carico del Comandante della IVY, che viene definitivamente archiviato nel novembre 2019. La motivazione, non si tratterebbe di rifiuti “ma di materiale lavorato destinato alla Bulgaria”. La Procura di Livorno ha recentemente aperto un nuovo fascicolo sul caso IVY. Da sottolineare che, a seguito di richiesta della Procura, il fondo marino viene mappato per ben due volte dalla Direzione Marittima di Livorno “al fine di localizzare le balle (dicembre 2015 e agosto 2016). Il secondo intervento
conferma le posizioni del primo e la zona da bonificare risulta circoscritta”. Sembrerebbe tutto pronto per il recupero, ma, come mette nero su bianco l’associazione ambientalista, la Direzione Marittima di Livorno “sceglie di non decretare l’emergenza locale”.
Ma il coinvolgimento contabile della Regione? E’ questo il punto su cui Greenpeace ha fondato il suo esposto alla Corte dei Conti. Tutto parte dal fatto che, come ricostruito da Greenpeace, Eco Valsabbia, per garantire il trasporto dei rifiuti in Bulgaria, aveva stipulato una fideiussione da € 2.807.717,93 a favore del Ministero dell’ambiente, conferita all’Autorità competente di spedizione, a quel tempo (2015), la Provincia. Dirimente rispetto allo svincolo dalla fideiussione, il ricevimento da parte della Provincia dei certificati di avvenuto corretto smaltimento del carico coperto. Ma il carico, come si è visto, non è stato correttamente smaltito, o perlomeno è dubbio che lo sia stato, dal momento che le balle di plastica non presenti all’appello stiano lentamente emergendo dal fondale del Santuario dei Cetacei. A svincolare Eco Valsabbia dalla polizza è la Regione Toscana, subentrata nel frattempo alla Provincia in qualità di Autorità di spedizione.
Nella storia rientra anche il ruolo di Arpat, che, a partire da dicembre 2015, effettua una serie di analisi sulle balle emerse, su quelle che emergono via via, e sulle acqua prossime all’area dove le balle giacciono sul fondo. Nelle vicinanze inoltre si trovano tre allevamenti di mitili. Si tratta di organismi particolarmente esposti a questo tipo di inquinamento, che, attraverso il consumo, introducono le microplastiche nella catena alimentare. Tuttavia Arpat non ritiene di emettere un’allerta ambientale ma, si legge nell’inchiesta di Greenpeace, a suggerire la rimozione. Di fatto, ad ora, si trova in contrasto con Ispra, che invece ha decretato la crisi ambientale. In questo coro, manca il Ministero dell’Ambiente, che ben avrebbe la possibilità di dichiarare l’emergenza ambientale. Ma, come riporta Greenpeace, a domanda diretta, il ministro Sergio Costa risponde: “La competenza non è del ministero. Confermo che l’Ufficio di Gabinetto di questo Dicastero, in ragione di quanto previsto dalla normativa, ha provveduto a richiedere la dichiarazione di stato di emergenza nazionale al Dipartimento della Protezione Civile, per la quale siamo in attesa di ricevere formale riscontro”.
Intanto, il governo interviene il 25 giugno 2019, nominando il Contrammiraglio Aurelio Caligiore, capo del RAM (Reparto Ambientale Marino), Commissario straordinario del Governo per il recupero delle balle. Il quale, in mancanza dei fondi per il recupero e la bonifica, dopo aver mappato ancora i fondali, si attiva per ottenere la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da parte della Protezione Civile, il che consentirebbe di accedere ai fondi dedicati per le emergenze nazionali, saltando inoltre i tempi e i modi ordinari per nominare le ditte d’appalto. Circa la questione dei soldi, Ispra invoca una soluzione: fare intervenire la Marina Militare (MM) in ragione della convenzione stipulata fra Ispra e la stessa Marina militare. Una convenzione, sottolineano da Greenpeace, in essere sin dal 2015. Perché nessuno ha pensato di attivarla?
Arriviamo così ai giorni nostri. Dall’inizio dell’anno, informa l’associazione ambientalista, “il Capo della Protezione Civile Angelo Borrelli riceve ben 4 richieste di
dichiarazione dello stato di emergenza. Vengono da: il Commissario straordinario Aurelio Caligiore, il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi (che a suo tempo ha restituito la fideiussione con cui si sarebbero dovuti finanziare il recupero e la bonifica), Ministero dell’ambiente e ISPRA. Senza contare le svariate interrogazioni parlamentari che fioccano nel mese di maggio (Bonino, Fratoianni e De Falco)”.
Ed ecco la decisione di Greenpeace, davanti alla catena illustrata per sommi capi e che ancora non ha prodotto risultati concreti: presentare un esposto alla Corte dei Conti “per danno erariale nei confronti della Regione Toscana che aveva in mano quasi 3 milioni di euro per procedere al recupero delle balle e li ha restituiti”.
Intanto, giunge dagli uffici regionali la risposta della Regione Toscana: “Nessuna titolarità del presidente o della giunta regionale in relazione all’atto contestato da Greenpeace”. In particolare, per quanto riguarda lo svincolo dalla fideiussione, “latto, che risale al novembre 2016, è stato firmato in piena autonomia dall’allora dirigente competente per legge ing. Andrea Rafanelli (Settore Autorizzazioni rifiuti e bonifiche), attualmente non più dipendente della Regione Toscana. In questi casi di trasporti trasfrontalieri, la fideiussione è prestata a favore del Ministero dell’Ambiente a cui la suddetta nota di svincolo fu trasmessa per conoscenza. Nessuna informazione fu data invece al direttore competente, né all’assessore né tanto meno al presidente. Al Ministro Costa, che nell’agosto 2018 domandò chiarimenti in merito all’atto di svincolo, la Regione ha risposto inoltrando l’istruttoria svolta dalla struttura dell’allora dirigente”.
In generale sul recupero delle ecoballe, gli uffici precisano che, pur non avendo nessuna competenza diretta, la Regione Toscana e ARPAT si sono messe a disposizione del Commissario Straordinario Governativo che ha provveduto ad individuare la localizzazione delle eco-balle in mare. Lo scorso marzo, sentita la Protezione civile, la Regione ha chiesto che fosse dichiarato lo stato d’emergenza nazionale per dare al commissario Caligiore le deroghe per velocizzare i lavori di rimozione.
“In aprile – puntualizzano gli uffici regionali – la protezione civile ha risposto dicendo che non era possibile riconoscere lo stato d’emergenza nazionale perché l’origine della criticità non è un fenomeno naturale ma antropico. A maggio, in accordo col ministero dell’ambiente, la Regione ha convocato un incontro da cui è scaturita la richiesta di rivalutare la concessione dello stato d’emergenza nazionale. In seguito a questo incontro è partita una lettera del presidente con una nuova richiesta formale della dichiarazione di stato d’emergenza nazionale”.
“Poiché dopo 5 anni oltre 60 tonnellate di rifiuti giacciono ancora nel fondo del mare e lo Stato italiano non è stato in grado di rimuoverle – commenta a questo proposito il presidente Enrico Rossi – benché la Regione Toscana non abbia competenze specifiche chiedo ancora una volta che il governo faccia un decreto nel più breve tempo possibile conferendo a me i poteri commissariali e adeguati strumenti per intervenire. È una vergogna che attorno a questa vicenda si perpetui troppa incertezza dei poteri”.
L’inchiesta integrale di Greenpeace: https://storage.googleapis.com/planet4-italy-stateless/2020/06/28bbb7e7-inchiesta_completa_greenpeace_su_santuario-delle-balle.pdf