Il regolamento del Movimento 5 Stelle e il relativo iter di espulsione? “Non ha alcuna validità giuridica”. Il direttorio? Grillo? La Casaleggio & Associati? “Negli ultimi dieci giorni non si è fatto sentire nessuno. E sarebbe stato un atto dovuto”. E’ un Federico Pizzarotti all’attacco, benché pacato nei toni, quello che oggi ha risposto ai vertici del suo movimento presentando alla stampa le sue risposte – contro deduzioni – all’avvio della procedura di espulsione causata dall’avviso di garanzia per abuso d’ufficio venuto alla luce una decina di giorni fa.
A domanda precisa Pizzarotti garantisce che al momento non ha in mente alcuna strategia “di creazione di liste civiche o alternative al movimento di cui faccio parte”. La volontà, insomma, è di restare all’interno di un M5S di cui il sindaco di Parma si sente parte integrante. A patto che venga revocata la sospensione di cui è attualmente oggetto.
Prospettiva remota tanto più considerando il silenzio, misto a commenti acidi se non liquidatori, che negli ultimi giorni ha caratterizzato l’atteggiamento del direttorio guidato di fatto da Luigi Di Maio nei confronti di Pizzarotti.
Quest’ultimo, di contro, ha ripetuto i punti salienti della sua difesa, senza tacere le critiche e i rilievi alla guida del M5S. Su tutti, anche in chiave pre elettorale, la sottolineatura della distanza che separa “il governo e l’amministrazione di un ente pubblico dalla purezza fine a se stessa. Chi vincerà le elezioni – e il Movimento a Roma e a Torino ha ottime possibilità – si accorgerà molto presto che la principale responsabilità di un amministratore è nei confronti dei cittadini”. Come dire: un conto è parlare dall’opposizione e dall’empireo delle teorie, ben altro paio di maniche sporcarsi le mani con il governo della cosa pubblica.
Quanto al provvedimento di sospensione – in base al quale ora i vertici del movimento hanno 30 giorni per decidere se accettare la difesa di Pizzarotti (5 pagine di risposte) o espellerlo – il sindaco di Parma lo ha descritto come caratterizzato da “assoluta iniquità, nullità e illegittimità, così come l’infondatezza degli assunti in esso contenuti. Il non statuto è l’unico documento riconosciuto come regolamento, non si parla di sospensione ma di requisiti che noi abbiamo saldamente rispettato, tutti.
Non si è violato nessuno di questi principi. Poi – continua Pizzarotti – c’è un regolamento, non votato da assemblea come non esistesse, non ha validità, e quel che viene regolato in quel documento non è stato comunque violato”.
Identico discorso per il regolamento di Camera e Senato, anch’esso preso in esame per formulare le controdeduzioni. Per quanto riguarda l’avviso di garanzia (“l’unico ricevuto finora”) “abbiamo tutelato i diritti costituzionali degli indagati e colloquiato con la magistratura per chiarire la nostra posizione nell’indagine. Nessuno ha sottaciuto l’avviso di garanzia che era un atto dovuto”.
Pizzarotti ha poi segnalato la differenza tra il proprio comportamento e quello degli altri sindaci 5 Stelle indagati. Lui, infatti, è finora l’unico ad aver pubblicato il proprio avviso di garanzia. “Nogarin non lo ha ancora fatto. Lo stesso il collega Fucci (posizione archiviata, ndr): tre sindaci tre metodi diversi applicati. L’epilogo dell’indagine sarà l’archiviazione”.
Ribadita poi la mancanza da parte del direttorio di “ascolto e di confronto, non c’è stata una difesa comune del M5S che viene attaccato da tutte le parti. A pochi giorni dal voto è partita un’inquisizione nei miei confronti da parte ancora non si sa da chi. Questo invece di tendere una mano. Serve chiarire, rifondare, ritrovare la modalità con cui applicare le regole che devono essere uguali per tutti. Non possiamo essere quelli che dicono agli altri di rispettare le regole e essere i primi che non le hanno chiare”.
Il sindaco di Parma ha poi stigmatizzato le inadempienze dei vertici (“Non saremo in lista a Ravenna perché è mancata chiarezza, questa è irresponsabilità”) aggiungendo che “lo staff spesso non ha dato spiegazioni e motivazioni alla certificazione delle liste in molte città. Se vogliamo governare l’Italia occorre cambiare e ammettere gli errori, creando nuovi rapporti tra il centro e le periferie. Gli attivisti sono disorientati”.
E se nonostante tutto arrivasse l’espulsione? “Mi aspetterei reazioni di attivisti ed eletti ma alla fine l’ipotetica via legale (una causa in sede civile, ndr) sarebbe per far rispettare un principio. Mai avuto la volontà di uscire dal M5S ma quel che è successo non può essere cancellato con un colpo di spugna, serve una riflessione. Tanti altri fatti in passato sono stati liquidati con troppa facilità”.
Ora la palla passa nelle mani dei vertici del movimento. In caso di espulsione, l’esito tuttora più probabile, la scelta è se procedere subito nonostante le comunali a due settimane di distanza o attendere i 30 giorni. In quel caso l’espulsione arriverebbe a fine giugno, appena dopo gli eventuali ballottaggi e durante gli Europei di calcio. Buone premesse per farla passare inosservata. O quasi.