Firenze – Tre pini caduti nella prima metà di marzo a Firenze al giardino dell’Orticoltura, in via Mariti e recentemente in piazza Fardella e la psicosi “del pino” si scatena. Cartelli minatori attaccati agli alberi, frasi da “caccia alla streghe” (pardon, al pino) fino ad affermazioni categoriche che “vanno abbattuti tutti i pini in città”. Eppure, l’emotività dell’ondata sembra davvero non tenere conto di alcuni, imprescindibili, dati di fatto.
” Intanto, sulla base dell’emotività – dice il professor Mario Bencivenni, storico dei giardini e docente alla Scuola di Specializzazione in beni architettonici e del paesaggio per lo studio e il restauro dei monumenti della “Sapienza” Università di Roma, esponente del Coordinamento Cittadino Tutela Alberi (CCTA) e di Italia Nostra – non si tiene conto del fatto che sono le auto, ad esempio, a mietere un grande numero di vittime, con oltre 200 (249) decessi in Toscana nel 2016, di cui 48 morti e oltre seimila feriti nella sola Firenze, in cui una vittima su quattro è un pedone. Eppure, a nessuno è mai venuto in mente di chiedere il blocco immediato e totale della circolazione delle auto private in città. Ebbene, come si fa allora a proporre di fare piazza pulita di tutti i pini in città, di fronte alle ultime vicende? … “.
Stop alla demonizzazione dunque, ma è pur necessario capire. Intanto, la logica dovrebbe essere, secondo quanto spiega il professor Bencivenni, di comprendere innanzitutto “perché i pini sono caduti. Ad esempio si parla di attacchi fungini alle radici. In questo tipo di attacco il fungo “rode” la parte legnosa delle radici, il che significa che all’albero viene a mancare il sostegno”. Passo seguente, capire se si può rilevare il danno, da cosa deriva l’attacco fungino e infine cosa si può fare per evitarlo.
“Quanto al primo punto – risponde Bencivenni – se a volte la VTA (vedi http://www.stamptoscana.it/articolo/toscana-cronaca/alberi-rischio-e-manutenzione-due-convegni-a-confronto) non è risolutiva, esiste un metodo molto più capace di cogliere il problema, che è quello delle prove di “trazione”, che è una tecnica strumentale applicata per esempio dal dottor Luigi Sani, noto professionista del settore, ed esperto della valutazione e dei rischi concernenti la statica delle alberature in contesto urbano. Si tratta di prove di trazione che riescono a dar conto della stabilità dell’apparato radicale della pianta”.
Per quanto riguarda le cause, sono molteplici e quasi tutte provocate dall’uomo. Una delle cause più frequenti, ad esempio, deriva dalle colate di bitume o cemento fino ad oltre il colletto della pianta, il che significa che il mantello superficiale toglie l’aerazione all’apparato radicale, consentendo il formarsi di un’ambiente particolarmente favorevole allo sviluppo dei funghi. Che, tra l’altro, sono una delle poche criticità di cui soffre il pino (come le altre piante), che, a differenza di molti altri specie di alberi, non ha in realtà patologie particolari e significative che lo affliggano. Insomma non ci sono insetti nocivi (basti pensare al punteruolo rosso che sta facendo strage di palme) nè patologie specifiche (il famoso cancro del cipresso che rischiò di distruggere un patrimonio secolare in Toscana) che assaltino il pino. Non solo: fra le cause conclamate, anche i cantieri e i lavori per i “sottoservizi”, tubazioni di gas, acqua e altro, che vanno a tagliare le radici delle piante sovrastanti. Col risultato di rendere più sensibile l’apparato radicale all’azione devastante delle fungine bianche.
Per quanto riguarda l’ultimo punto, continua Bencivenni, per evitare che il pino cada, si può fare molto, a partire dalla “cura” che gli si deve. “Il pino – spiega il professore – è un albero che per paradosso rischia di rimanere negletto proprio perché ha bisogno di pochissime cure. Non necessita di potature, se non nei casi relativamente rari della torsione di un ramo o del suo andare fuori squadra; è molto rustico e non ha “nemici” naturali, oltre la processionaria”.
Dunque, l’albero più rustico è quello che cade di più in quanto è quello che dà meno problemi ed è quindi quello tenuto meno sotto osservazione. “In particolare in mancanza di un Ufficio del Verde, come in passato, dove personale competente conosceva benissimo gli alberi cittadini” e ne curava e gestiva l’esistenza intera. “Anche – aggiunge il professore – decidendo quando il caso era così irrecuperabile da dover diventare necessario l’abbattimento”.
Ma ci sono anche altre considerazioni che riguardano i pini. Ad esempio, sembrerebbe impossibile se ci si fermasse alle ultime pagine dei giornali cittadini, ma da sempre i pini erano piantati sulla costa per creare barriere frangivento, che tutelavano le coltivazioni più interne. Un bel paradosso anche questo, in particolare rispetto a chi racconta che il pino viene abbattuto dai venti e dal cambiamento climatico. Il pinus pinea, perché è questo, ovvero il pino domestico “da pinoli”, quello di cui stiamo parlando, ha due importanti caratteristiche: da un lato, crea con le radici sottoterra e con le chiome nella parte aerea, una sorta di “rete” di sicurezza. Cosa significa? “Di fatto – spiega Bencivenni – il pino ha un apparato radicale doppio: il fittone che è quello che va in profondità e lo “fissa” al terreno, e la rete diffusa delle radici, che va a toccarsi e a interloquire con gli altri apparati radicali”. Insomma è come se si stringessero le mani fra loro, a livello sotterrano, per tenersi stretti contro vento, pioggia eccessiva, ecc. Una caratteristica che rileva anche un altro punto importante: la conoscenza e il rispetto della natura dell’albero. “Il pino non deve essere piantato “in solitaria” dice Bencivenni – è una pianta gregaria, che ha bisogno dei suoi simili per dare il meglio di se'”. Dunque, “compagni” e terra in abbondanza per permettere di andare a fondo col fittone e di agganciarsi agli altri “con le mani”.
Una filosofia che sarà molto ben rappresentata nella manutenzione di quella straordinaria “pineta urbana” che si sta ricostituendo in piazza della Vittoria, oggetto di un intervento di reintegrazione e miglioramento. Perché la pineta di piazza della Vittoria non è pericolosa, tanto che si pensa di incrementarla?
“Grazie al progetto primigenio degli anni 30 – spiega Bencivenni – la piazza fu preparata in particolare proprio per accogliere pini, che all’epoca si pensava (lezione di Michelucci) rappresentassero l’albero più moderno e adatto alle “nuove” città che esistesse in natura. Così, lo square venne studiato con un ampio spazio libero di terreno, lontano dalle case della piazza, in cui fare crescere i pini, in modo che ne venisse rispettata la natura: abbastanza terra per fare andare in profondità il fittone, abbastanza spazio per consentire di creare la “rete” sotterranea delle “mani” che si agganciano”. Un meraviglioso esempio di competenza, intuizione e miracolo estetico, che è stato riconosciuto dall’amministrazione comunale, che sta rispettando, nel suo intervento, le linee guida del disegno primigenio, incrementando anche la presenza di pini, sulla spinta del sentire popolare e del parere degli esperti.
Dall’altro lato, il pino ha anche una straordinaria proprietà: secondo recenti studi, “è uno degli alberi che contribuiscono a produrre meno ozono fra tutte le specie arboree”, almeno quelle utilizzate correntemente nelle città. Senza parlare del lato estetico, che convinse i Romani a impiantarlo, non solo per utilità (legname per le navi, filari frangivento, rusticità in zone da ripopolare) immettendolo nel paesaggio dell’Italia centrale fino a farlo diventare arredo caratteristico non solo delle campagne su cui Roma dominava, ma anche simbolica alberatura propria della Città Eterna.
Infine, fra gli accorgimenti che dovrebbero essere messi in pratica, c’è la necessità, valida per tutte le alberature d’alto fusto in particolare cittadine, di poter contare “sull’assistenza continua e costante nel tempo da parte di personale competente”. Anche per i rustici, resistenti, bellissimi e trascurati Pini.
Foto: Di I, Sailko, CC BY 2.5, httpscommons.wikimedia.orgwindex.phpcurid=4355117