Al centro del dibattito politico ed economico di tutta Europa si sono imposti un libro, “Il capitale nel XXI secolo”, uscito in Italia da poche settimane, pubblicato da Bompiani, e il suo autore, Thomas Piketty, economista francese di talento, professore all’Ecole d’Economie de Paris, di cui è anche uno dei fondatori, direttore della Ecole des hautes études en sciences sociales, consulente prima della candidata socialista alla presidenza francese Sigolène Royal e ora sostenitore del capo dello stato François Hollande. Il suo lavoro è diventato in breve tempo un best seller mondiale della saggistica economica che in Francia ha venduto più di 250mila copie e più di 400mila negli Stati Uniti.
La tesi centrale di Piketty è che in certe condizioni di crescita debole il capitalismo diventa “una macchina creatrice di disuguaglianze” che sono “insostenibili, arbitrarie, e rimettono in questione dalle fondamenta i valori meritocratici sui quali si reggono le nostre società democratiche”. Si tratta di un fenomeno, che lo studioso descrive con un nutrito apparato statistico, che non può essere affrontato con le vecchie politiche, ma richiede, sostiene , strumenti nuovi perché “la democrazia possa riprendere il controllo del capitalismo finanziario globalizzato”.
La sua proposta ai governi è l’introduzione, quanto meno al livello europeo, di “un’imposta mondiale progressiva sul capitale uno strumento che avrebbe anche il merito di produrre trasparenza democratica e finanziaria sui patrimoni”.
In vista di una discussione sul suo saggio che sarà programmata a Firenze nelle prossime settimane, Stamp ha raggiunto Piketty in Messico e gli ha posto alcune domande.
d- Il capitalismo, come dimostra nel suo libro, non solo non ha fatto scomparire le diseguaglianze, ma le ha addirittura fatte aumentare ultimamente sempre di più. Ma, nonostante i ricchi siano diventati sempre più ricchi, globalmente il capitalismo non pensa che abbia avuto anche qualche effetto positivo? Non c’è ad esempio meno povertà nel mondo, come indicano varie statistiche?
r- Credo nelle forze di mercato e nella crescita. Semplicemente ritengo che abbiamo bisogno di istituzioni democratiche forti per mettere le forze di mercato e il capitalismo al servizio dell’interesse generale. Mi riferisco in particolare alle istituzioni fiscali, educative e sociali fortemente ridistributive.
d– In Italia le disuguaglianze si sono accentuate più che altrove, con il valore dei patrimoni privati che ormai equivale a 7 anni di reddito nazionale.
r. Tenuto conto dell’ottima salute dei patrimoni privati italiani e del ristagno dei redditi da lavoro, soprattutto quello per le generazioni giovani, penso che sarebbe ragionevole mettere a maggior contribuzione i patrimoni, almeno quelli più alti.
d. Pensa che le ultime decisioni del governo italiano di centro-sinistra vadano nella buona direzione, che possano essere considerate come un passo avanti per bloccare il meccanismo che genera le disuguaglianze?
r- Penso che il governo italiano, assieme a quello francese, debba proporre una vera rifondazione democratica della zona euro. Si avrebbero meno austerità, più crescita e meno disoccupazione se la scelta dei livelli di deficit e di investimento pubblico fossero stati decisi da un parlamento della zona euro in cui ogni paese fosse rappresentato proporzionalmente alla sua popolazione. Né più né meno.
d. E la Germania?
r. La Germania difficilmente potrebbe rifiutare una proposta del genere se Italia e Francia decidessero una buona volta a metterla sul tavolo dei negoziati
Da www.stampatoscana.it