Piattaforme digitali: Musk nel mirino dell’Unione europea

I contenuti di X ritenuti non in regola con le normative europee

Non solo guerra dei dazi. Tra Unione Europea e la nuova amministrazione Trump-Musk si profila anche una sorta di guerra delle piattaforme digitali. Perché il braccio destro del Presidente americano eletto è sotto tiro della Commissione Europea per il suo social X.

Anche in questo, c’è evidente affinità tra Elon Musk e Donald Trump. Perché procedono spediti verso la seconda cerimonia di insediamento del Presidente eletto, il 20 gennaio, uniti anche dalla comune consuetudine ai guai giudiziari. Musk è infatti finito sotto indagine anche negli Stati Uniti per questioni che riguardano la sua piattaforma social X. Trump si è tirato fuori dalle cause solo perché scelto dal popolo americano come Presidente: per l’assalto di Capitol Hill, il Procuratore Jack Smith ha così chiesto l’archiviazione perché, ha detto: “La costituzione americana impone che questo caso venga archiviato prima che l’imputato si insedi”. Epilogo simile anche per il processo relativo ai pagamenti in nero della pornostar Stormy Daniels: Trump condannato ma gli è stata applicata la sospensione incondizionata della pena, perché Presidente eletto.

Per quanto riguarda il suo sodale, Elon Musk, le questioni sono un po’ più complicate, non potendo usufruire di ammortizzatori presidenziali. Così, a pochi giorni dall’insediamento del presidente che lo ha voluto al suo fianco come coordinatore dell’inedito Dipartimento per l’Efficienza del Governo, Musk oltre alle beghe con l’Ue, è stato raggiunto dalla notizia dell’apertura di un’inchiesta su di lui per frode finanziaria, da parte della Sec, la Commissione Titoli e Scambi degli Stati Uniti.  Nel mirino c’è l’acquisto di Twitter (ora X) da parte di Musk nel 2022. Si tratta di una di quelle tipiche controversie americane che arricchiscono gli studi legali e che poi finiscono in qualche salata multa o poco più. Musk, nella fattispecie, avrebbe omesso di comunicare che al momento dell’acquisto già era in possesso del 9% della piattaforma, provocando una turbativa al regolare andamento del mercato.

Se questa è la questione in ballo a casa propria, molto più delicata è la controversia al di là dell’Oceano. Soprattutto per i risvolti geopolitici tra Europa e Stati Uniti. L’Unione Europea avrebbe messo insieme una serie di accuse non da poco, che riguardano ancora X. Ma stavolta per i suoi contenuti, ritenuti non in regola con le normative europee. L’inchiesta in corso, che starebbe per giungere a decisioni concrete, ha preso le mosse poco più di un anno fa. Alla fine del 2023, infatti, la Commissione Europea annunciò di aver avviato un procedimento formale di infrazione per valutare se X avesse violato il Digital Service Act, il regolamento sui servizi digitali in settori connessi alla gestione dei rischi, alla moderazione dei contenuti, ai dark pattern, alla trasparenza della pubblicità e all’accesso ai dati per i ricercatori. Nel mirino, fece sapere la Commissione Ue, soprattutto “la diffusione di contenuti illegali nel contesto degli attacchi terroristici di Hamas contro Israele”.

Il procedimento si è concentrato su questi ambiti:

  1. il rispetto degli obblighi del regolamento sui servizi digitali relativi alla lotta contro la diffusione di contenuti illegali nell’UE, in particolare in relazione alle misure di valutazione e attenuazione dei rischi adottate da X per contrastare la diffusione di contenuti illegali nell’UE, nonché al funzionamento del meccanismo di segnalazione e azione per i contenuti illegali nell’UE prescritto da tale regolamento, anche alla luce delle risorse di X per la moderazione dei contenuti;
  2.  l’efficacia delle misure adottate per contrastare la manipolazione delle informazioni sulla piattaforma, in particolare l’efficacia del cosiddetto sistema di “note della collettività” di X nell’UE e l’efficacia delle relative politiche di attenuazione dei rischi per il dibattito civico e i processi elettorali;
  3. le misure adottate da X per aumentare la trasparenza della sua piattaforma. L’indagine riguarda presunte carenze nella fornitura ai ricercatori dell’accesso ai dati di X accessibili al pubblico, come prescritto dall’articolo 40 del regolamento sui servizi digitali, nonché le carenze nel registro delle pubblicità di X;
  4. una presunta progettazione ingannevole dell’interfaccia utente, in particolare in relazione ai segni di spunta collegati a determinati prodotti di abbonamento, le cosiddette “spunte blu”.

Il procedimento riguarda anche la modalità “Community notes” e soprattutto la sua effettiva efficacia contro la disinformazione via social. Una scelta, quella di Musk, alternativa al fact-checking e presa a modello proprio pochi giorni fa anche da Marc Zuckerberg per Facebook e Instagram.  È chiaro che le ultime uscite di Musk sulle elezioni tedesche e più in generale sulla politica europea, stanno provocando molte richieste da parlamentari europei, per accelerare l’esito della procedura avviata nel dicembre 2023.

Ma si capirà che, visto il ruolo di primo piano assunto da Musk nella nuova amministrazione-Trump, la questione per la Commissione Europea abbia assunto una valenza ben diversa da quando fu avviata. Accanto all’annunciata guerra dei dazi, si può dire che già esista una guerra delle piattaforme social tra Unione Europea e i tecnocrati miliardari che fanno da corollario a Trump. Perché analoga procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea, sempre in base al Digital Service Act, è in corso anche contro Meta di Zuckerberg. Il 30 aprile 2024 la Commissione europea annunciò infatti di aver avviato un procedimento formale per valutare se Meta, fornitore di Facebook e Instagram, possa aver violato la legge sui servizi digitali.

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione, dichiarò: “Questa Commissione ha creato strumenti per proteggere i cittadini europei dalla disinformazione mirata e dalla manipolazione da parte di paesi terzi. Se sospettiamo una violazione delle norme, agiamo. Ciò è vero in ogni momento, ma soprattutto in tempi di elezioni democratiche. Le grandi piattaforme digitali devono rispettare i loro obblighi per mettere risorse sufficienti a tal fine e la decisione odierna dimostra che siamo seriamente impegnati a rispettare le norme. Proteggere le nostre democrazie è una lotta comune con i nostri Stati membri”.

Le presunte violazioni di Meta sono abbastanza simili a quelle di X e riguardano le politiche e le pratiche di Meta relative alla pubblicità ingannevole e ai contenuti politici sui suoi servizi.

La Commissione sospetta inoltre che il meccanismo di segnalazione dei contenuti illegali nei servizi (“Notice-and-Action”), nonché i meccanismi di ricorso degli utenti e i meccanismi interni di reclamo non siano conformi ai requisiti della legge sui servizi digitali e che vi siano carenze nel fornire ai ricercatori l’accesso di Meta ai dati accessibili al pubblico. La decisione di stop al fact-checking annunciata da Zuckerberg è al momento limitata solo agli Stati Uniti, perché i legali di Meta staranno indubbiamente valutando quali effetti potrà avere quella scelta che piomba nel bel mezzo della procedura già avviata dall’Unione Europea.

È ovvio che con Elon Musk assiso in un ruolo così strategico accanto a un Presidente americano come Trump, che ha minacciato una politica aggressiva anche contro gli alleati europei, le mosse dell’Unione Europea nei confronti di Musk e di ogni colosso digitale finito sotto il cappello protettivo della Casa Bianca, rischiano di assumere una inedita valenza geopolitica. Con tutti i dubbi del caso: l’Unione Europea ha messo insieme un armamentario di regole, codici e norme a salvaguardia dei diritti dei cittadini per una fruizione delle piattaforme digitali all’insegna del “politically correct”. Ma Trump ha il potere e l’abitudine a infischiarsene degli apparati legislativi. Musk è con lui, Zuckerberg si è aggregato. La partita è aperta: chi sia più portato a sbattere il pugno sul tavolo è già chiaro. Dopo il 20 gennaio sarà ancora più evidente.

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