Firenze – Sono tutti lì, uniti come non mai, o meglio, come da dieci anni a questa parte non accadeva. A metterle tutte insieme, associazioni ambientaliste locali, nazionali, famose, sconosciute, importanti o semplicemente di “cittadini con la coscienza”, è il piano paesaggistico toscano. O meglio, il tentativo che si è consumato in questi giorni di “fare prevalere – come dicono alcuni interventi, ricalcando ciò che la Cgil presente all’incontro, ha messo nero su bianco – la fortissima pressione di lobbies politico-economiche” del territorio. Già perché se la guerra riguarda tutte i venti ambiti paesaggistici di cui è composto il piano, sono le 3 che riguardano le Apuane quelle dove si svolge la prima, acerbissima battaglia, quella in grado di far capire l’andamento dell’intera guerra.
A chi ci si riferisce, è trasparente: a coloro che detengono le attività estrattive. Insomma a chi si occupa di estrarre marmo dalle viscere di una catena quella delle Apuane, “svuotata” da dentro, che rischia di perdere persino il famoso “skyline” che l’ha contraddistinta da secoli. “Estrattori” che non sono, come precisa qualcuno, ad esempio Mauro Chessa presidente della Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio, i cavatori o altri mestieri legati allo sfruttamento del marmo, antichi di secoli, ma vere e proprie multinazionali che hanno messo piede nel territorio esercitando la logica unica del profitto, senza badare a sostenibilità, natura, rispetto dei luoghi, delle memorie, di un territorio bellissimo che porterebbe in se’ la cifra della propria ricchezza. Per le quali, aggiunge Antonio dalle Mura di Italia Nostra, il business è anche quello di riaprire cave chiuse, perché è lì, in quelle viscere sfruttate, che si può ancora “macinare” e trovare il carbonato di calcio.
Vogliono smontare innanzitutto il punto fondamentale, gli “ambientalisti” come amano farsi chiamare le associazioni, il punto per cui sono stati tacciati di essere retrogradi e anti-occupazione, idealisti senza cervello che rischiano di mettere un’ipoteca di disoccupazione attorno alle Apuane. No, ribatte con fermezza Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, non ci possono rinchiudere in un’accusa inverosimile, dal momento che è proprio con le regole, con la sostenibilità, col disciplinare le attività dell’estrazione secondo le leggi della montagna e della natura che prendono corpo i lavori, i mestieri e l’occupazione. ” In tempi in cui tagliare il marmo è come tagliare il burro – dice, riferendosi alle nuove tecnologie – la richiesta di manodopera è sempre in calo. Ciò che chiediamo, fra le altre cose è fare rimanere la lavorazione del marmo sul territorio”, magari mettendo insieme, continua sullo stesso filo di pensiero Antonio delle Mura, Italia Nostra, i mestieri e le competenze che si sono formati in secoli di “cultura del marmo”.
Un altro punto importante, l’altra faccia ancora della questione Apuane è quello politico-elettorale. “Temiamo – dice Chessa – che si svolga sulle Apuane una battaglia di svolta fra due fazioni interne al Pd, come dimostrerebbero i voltafaccia, le contraddizioni, tutto ciò che di poco chiaro è rappresentato dalla giunta regionale”. Fuor di metafora, ci si chiede con insistenza perché un piano paesaggistico studiato e concertato come quello uscito dai lavori del gennaio 2014, che aveva avuto l’approvazione di tutti i soggetti ed era stato anche gratificato dallo stesso Rossi che l’ha messo in discussione in questi tempi come”piano che potrebbe essere di guida per le altre regioni”, improvvisamente non vada più bene. non solo: rischi di subire un maxi-emendamento che riporta indietro le lancette delle regole proprio per quanto riguarda le attività estrattive, allargando le maglie dei controlli. “E che non si parli di questioni di occupazione e lavoro – intervengono altri esponenti di associazioni “green” – perché se si fossero impegnati tutti i soldi che si sono spesi sulle Apuane per incentivare turismo, conoscenza del territorio, percorsi, appunto, “slow food”, ora altro che cinquemila lavoratori dell’indotto, l’occupazione avrebbe potuto solo goderne”.
Insomma fra chi ne fa questione politica di “redde rationem” fra fazione romana del partito e fazione più “toscana” (con Rossi nel mezzo che rischia di “pigliarne” da una parte e dall’altra) e chi ne fa una questione di svolta per l’intero orientamento ambientale della Regione e forse dell’intero Paese, tutti sono d’accordo su almeno due punti: uno, sostenere all’ultimo respiro l’assessore Anna Marson, che sembrava, dopo la battuta di ieri di Rossi sulle doti tecniche, quasi a rischio di benservito, due, portare aventi uniti tutta la questione come una vera e propria questione di principio. Su questa battaglia, dicono gli ambientalisti, c’è il limite “green”: è talmente sacrosanta che non c’è niente da trattare. Insomma, commenta plasticamente Ferruzza, “sarebbe come perdere la posta all’ultimo miglio”, senza sapere perché.
I tasselli del muro “verde” davanti cui si trova la giunta toscana è costituito da tutti i soggetti dell’ambientalismo toscano spesso nelle sue coordinate nazionale, come ha dimostrato anche la presenza, stamattina del presidente nazionale di Italia Nostra Marco Parini: era presente il Club Alpino Italiano, Fai, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness, Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio, Slow Food Toscana, WWF, messi insieme da un’intelligente, incessante e diplomatica operazione sostenuta in particolare da Maria Rita Signorini del direttivo nazionale Italia Nostra.
Del resto, un’importante battaglia, come sottolinea Chessa, almeno a tutt’ora, essendo la situazione molto fluida e in corso di cambiamento continuo (i lavori in commissione regionale non si fermano) è già stata vinta: il ritiro del maxiemendamento e il “ripensamento” della situazione. E intanto, il Muro Green sta ad aspettare (“nessun commento sulle parole di Rossi”, ha detto stamattina Ferruzza, proprio riferendosi alla fluidità della situazione alla “disponibilità” che ieri sembrava essere provenuta dal governatore). Con un certo ottimismo.