Firenze – Dopo i successi al Teatro Romano di Fiesole, al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ di Scandicci e al Teatro Era, Medea con la regia di Gabriele Lavia arriva alla Pergola. Questa la recensione aggiornata dello spettacolo in scena fino al 23 aprile.
Fra le opere immortali dei tragici greci, questa è sicuramente una delle più “contemporanee”. Medea ci parla del difficile rapporto fra civiltà diverse, dell’intelligenza che corrompe se guarda solo al proprio interesse, dell’eterno conflitto di sentimento e di potere fra i due sessi. Ha fatto bene Gabriele Lavia, regista della tragedia in scena in questi giorni alla Pergola, insieme con lo scenografo Alessandro Camera e al costumista Alessio Zero, a togliere qualunque riferimento temporale ai fatti accaduti nella città greca di Corinto.
Medea è una donna innamorata di un paese lontano che investe tutta la sua affettività e la sua esistenza in Giasone, eroe quando conquista il vello d’oro , ma che diventa un mediocrissimo opportunista quando torna a casa, in Grecia. Certo quella moglie barbara è un po’ troppo imbarazzante per chi vuole mettere all’incasso i successi ottenuti nel lontano oriente. Gli impedisce di ottenere potere e ricchezze, gli fa fare brutta figura. Perciò la ripudia e sposa la principessa reale che potrebbe, speriamo, portarlo anche al trono.
Fatto questo vorrebbe che tutto andasse rapidamente a posto: Medea accetta senza troppo lamentarsi l’abbandono vivendo con i due figli avuti da lui alla luce (e alle comodità) della nuova posizione dell’ex marito, che intanto si gode la fanciulla con la quale darà dei fratelli ai due piccoli. Insomma si aspetta – e lo dice, dando anche a intendere che ci crede – di creare una bella famiglia allargata, dove tutti se non felici, certo sono sereni e riconoscono la sua grande saggezza. Del resto non è questa “la misura” della civiltà, quando tutto si stempera nella quieta disperazione, quando chi perde accetta sportivamente la sconfitta? Non a caso i costumi disegnati da Zero ricordavano ieri sera una certa foggia vittoriana dell’impero britannico. Misura e sport. Le istanze dei sentimenti e l’onestà intellettuale vengono dopo, a volte molto dopo.
Giasone si inganna e da qui parte l’operazione didascalica di Euripide. La menzogna, l’ipocrisia, il tradimento fatto a cuor leggero, l’umiliazione di una donna che gli ha donato tutta se stessa funzionano da miscela esplosiva che produce dolore e annientamento. Per rendere ancora più forte il messaggio che rimette davanti agli occhi e alle menti degli spettatori i principi sacri del giuramento, del rispetto reciproco nella dinamica coniugale condizione del succedersi delle generazioni, l’autore usa un registro che oggi si direbbe di genere “horror”. Il racconto del messaggero sull’atroce morte della principessa e del suo infelice padre venuti a contatto con la pozione velenosa di Medea, non ha nulla da invidiare a certe scene dei film che hanno consacrato il genere per gli effetti speciali sempre più sconvolgenti.
Federica Di Martino è riuscita a dare una interpretazione di Medea di grande impatto, perfettamente coerente con l’archetipo di una donna colta e intelligente, ma implacabile, “selvaggia” nel rappresentare le conseguenze fatali in una società che ha perso però le ragioni prime dalle quali è nata la sua civiltà. Anche Simone Toni ha offerto un Giasone “faccia da schiaffi” del tutto convincente. Ma è soprattutto nel coro e nel suo interagire, sofferto e impotente, con la follia disperata e la fredda determinazione di Medea, che Lavia trova la cifra della sua lettura di Euripide.