Firenze – Capita a volte, al tavolo verde, più dei denari, di perdere altri “valori”: l’amicizia, la stima, il rispetto, la solidarietà, l’altruismo. Se poi il gioco si fa duro, profuma di rivincita e vendetta, punteggiato dai rilanci e scandito dai bluff che sono l’anima diabolica del poker, facile immaginare l’itinerario al massacro che ne può scaturire.
Giochiamo e facciamoci del male. Paradigma impeccabile di questa partitura spregiudicata e amarissima fu Regalo di Natale, il film di Pupi Avati del 1986 (fra i suoi migliori) che valse a Carlo Delle Piane la Coppa Volpi come miglior interprete maschile al Festival di Venezia (con lui c’erano giganteggiavano Diego Abatantuono, Alessandro Haber, Gianni Cavina e George Estman).
Ora, trasferito ai giorni nostri, fra chat e telefonini, nell’adattamento di Sergio Pierattini, quel titolo diventa uno spettacolo teatrale, secondo una formula di travaso dallo schermo al palcoscenico sempre più frequente: pensiamo, fra gli ultimi, felici esiti, alla Classe operaia va in paradiso da Elio Petri, per la regia di Claudio Longhi, pure approdato la scorsa stagione alla Pergola, dove ora Regalo di Natale resta in scena fino a domenica.
La sceneggiatura di Pupi Avati, che si avvalse della consulenza di Giovanni Bruzzi per i ciak riguardanti le varie fasi del gioco, rivive nel suo avvincente procedere, dalla farsa al dramma, dalla rimpatriata goliardica alla diaspora esistenziale, grazie alla regia trasparente di Marcello Cotugno e alla vulcanico spalleggiarsi degli interpreti: Gigio Alberti, Filippo Dini, Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase.
Che giocano di squadra passandosi continuamente la palla, dribblando scartando fintando tirando e entrando a gamba tesa, se necessario, senza curarsi delle conseguenze. Non ci sono eroi, solo comparse attorno a quel tavolo che gira su se stesso come a simulare la circolarità della fortuna e l’imprevedibilità del caso. L’amicizia, se una volta c’era stata, è una lontana eco, una pergamena sdrucita, una logora cantilena. Il fallimento economico fa pari con la disperazione sentimentale.
Non può essere una partita a poker, la notte di Natale, a riassemblare le tessere del puzzle. Ma può essere l’ultimo gradino della perdizione, lo specchio della sconfitta, la soglia della solitudine. Sarà più semplicemente un regolamento di conti. Il presunto “pollo” da spennare fa saltare il banco. Con lineare coerenza e scientifica preparazione. Le conseguenze saranno catastrofiche. Ciniche e spietate. Sul piatto, oltre a un bel po’ di soldi, c’è il bilancio di una vita: i fallimenti, le sconfitte, i tradimenti, le menzogne, gli inganni.
E se tutta la prima parte respira di una giocoleria mimica e di un dinamismo espressivo, ritmo e affiatamento, che indulge a tratti alla pochade vesuviana (ma il riso è liberatorio, indocile, arioso e fresco di rara complicità), nella seconda il profilo si scurisce, apre cicatrici che non si rimarginano, scuote l’emorragia del cosa eravamo e cosa siamo diventati. Non riconciliati, noi stessi siamo alla fine costretti a guardarci dentro. Oltre l’apparenza delle buone pratiche che quotidianamente ci sembra di saper svolgere.
Un bel regalo per lo spettatore questo Regalo di Natale, portatore di intrattenimento succoso, aspro e gradevole, libero finalmente di essere goduto e appreso nella sua ondivaga inclinazione drammatica, non fastidiosa, né posticcia, né presuntuosa, bruciante di smarrimenti e spacconerie. Completano la locandina le scenografie di Luigi Ferrigno, i costumi di Alessandro Lai, le luci di Pasquale Mari.
Foto: Regalo di Natale – foto Michele De Punzio