Firenze – Uno spettacolo così avvincente e innovativo dove un’arte diventa un mondo musicale, una storia culturale, un’espressione unica del corpo e delle sue emozioni è raro vederlo.
Alla Pergola Israel Galván, considerato uno dei più grandi ballerini di flamenco, ha offerto agli spettatori un saggio di arte e talento, cultura e maestria, che racconta del momento d’oro del primo ventennio del novecento quando un gruppo di artisti unici e poliedrici pose le basi della modernità partendo dalle più profonde radici della tradizione popolare.
Di questo complesso innovativo il flamenco è parte importante. Non solo in un classico come El Amor brujo, l’amore stregone, di Manuel De Falla, ma anche in un capolavoro che nasce in un paese lontano, la Russia deli riti primitivi, come la Sagra della Primavera di Igor Stravinskj.
Galván ha ideato la piéce che porta il titolo congiunto dei due pezzi musicali che interpreta (El Amor Brujo + Le Sacre du printemps) come una sorta di iniziazione all’arte del flamenco. Un’ascesa che parte dai nudi suoni naturali, le percussioni che sono alla base di una danza di origine orientale, attraversa l’ispirazione del compositore spagnolo e sale alle vette dell’opera rivoluzionaria interpretata per primo nel 1913 da Vaslav Nijinskij, protagonista dei Balletti Russi di Sergej Diaghilev.
Due capolavori che, ricorda Galván, alla loro prima esecuzione furono fischiati. Non potevano essere compresi da un pubblico non ancora pronto a cogliere nuove sensibilità e nuovi linguaggi musicali in un cambiamento d’epoca così drammatico come quello degli anni che precedettero e seguirono la prima guerra mondiale.
De Falla, come in letteratura Federico Garcia Lorca, colse la forza “primitiva” e “orientale” del flamenco, del “Cante Hondo” andaluso. Così come Stravinskj, grande sperimentatore di musiche popolari (vedi il tango che fa capolino nell’Histoire du Soldat), che lo definì “un’arte compositiva classica”. “De Falla vede il flamenco dall’interno, mentre Stravinskj dall’esterno”, spiega il danzatore di Siviglia.
Dalla storia della donna che lo spirito del marito costringe a una danza forsennata parte questa decostruzione/ ricostruzione/ esaltazione del flamenco che è l’obiettivo di Galván. Nell’Amore stregone, danza quasi sempre seduto: è la forza della danza che si impadronisce della donna nonostante l’estrema resistenza. Superando i limiti rappresentati dalla sedia su cui sta seduto, il danzatore offre una dimostrazione della sua tecnica e del suo talento interpretativo.
Quella tecnica che nella Sagra tocca la vetta più alta. Galván utilizza gli strumenti necessari (tamburi, piattaforme, materiale inerte, il tutto amplificato da un potente sistema di amplificazione elettronica) per esprimere il ritmo e l’energia della musica. Il flamenco non solo è il linguaggio del corpo, ma diventa anche una sezione di percussioni diverse e complementari che accompagna il suono già fortemente accentato dei due pianoforti.: “La coreografia era talmente ritmica da sembrare per me flamenco, molto di più della danza classica spagnola”, ha spiegato ancora Galván nell’intervista per il programma di sala.
Il risultato quasi perfetto della performance è dovuto anche al lavoro di studio e sperimentazione che il danzatore ha portato avanti in questi anni per mettere a punto un linguaggio che si avvicina agli artisti di quel periodo, come lo stesso Nijinskij, da cui ha tratto posizioni e gesti, alla ricerca di un flamenco delle origini depurato dalle sovrapposizioni dei decenni successivi.
Un successo al quale ha contribuito la forza e la musicalità dei due pianisti Daria van der Bercken e Gerard Bouwhuis e quella del mezzosoprano Barbara Kozelj, bravissima anche negli intermezzi che hanno reso lo spettacolo fluido e godibile.
Imperdibile. Al Saloncino Paolo Poli fino al 12 novembre.
Foto: Israel Galvàn – La Consagraciòn de la Primavera (copyright Jean Louis Duzert)