Firenze – Bentornato Eugène. Sentivamo proprio il bisogno di qualcuno che ci mettesse di fronte alle stoltezze della pseudo-modernità quotidiana: alla razionalità che cede il passo all’assurdo, alla prepotenza e alle sopraffazioni del potere alle quali sempre meno si pone i limiti di una morale davvero condivisa.
E grazie alla compagnia del Théâtre de la Ville di Parigi che ha portato alla Pergola un “medley” del meglio di Ionesco. Una pièce costruita su estratti da sei testi, alcuni dei quali meno conosciuti ma perle assolute della comicità metafisica dell’autore franco-rumeno. Si parte dalla Cantatrice calva, l’opera del 1950 che ha inaugurato il teatro dell’assurdo e consacrato l’arte drammaturgica del suo autore, poi La Lezione dell’anno dopo, per passare da Jacques ovvero la Sottomissione (1955) , Delirio a due (1962), Come preparare un uovo sodo (1961) ed Esercizi di conversazione e dizione in francese per studenti americani (1964).
Anche con questo spettacolo gli accordi internazionali della Fondazione Teatro della Toscana hanno permesso al pubblico fiorentino non solo di incontrare grandi artisti della scena teatrale, registi e attori, ma anche di mettersi in sintonia con le sensibilità e le aspirazioni più profonde che circolano per l’Europa in un tempo di crisi infinite e di catastrofi provocate soprattutto dalla folle illusione del genere umano di controllare le forze che scatena. Quasi sempre scatenate dai lati oscuri della mente umana obnubilata dall’ossessione della potenza e dall’azzardo della prova di forza.
I temi del teatro di Ionesco sono quindi di grande attualità nel momento in cui i vent’anni di globalizzazione senza limiti né correttivi, sono andati in pezzi sbattendo contro il muro della pandemia e contro le conseguenze di una guerra in Europa che ha riportato la società umana indietro di più di cento anni. Restano individui soli e fragili che non sanno più comunicare fra loro se non attraverso la violenza e la sopraffazione. Le loro più profonde aspirazioni si sono rivelate illusioni, il loro linguaggio non trasmette altro che ovvietà e paradossi, tautologie e scioglilingua. Si esaurisce in discussioni senza alcuni significato né utilità: la chiocciola e la tartaruga sono animali differenti o uguali? Ciò accade quando nella conversazione pubblica come in quella privata si sono persi punti di riferimento comuni, valori condivisibili sui quali vale la pena confrontarsi.
I sette attori del Théâtre de la Ville (Charles-Roger Bour, Céline Carrère, Jauris Casanova, Antonin Chalon, Sandra Faure, Stéphane Krähenbühl, Gérald Maillet) guidati dal regista Emmanuel Demarcy-Mota hanno offerto una magistrale dimostrazione di talento teatrale camminando in equilibrio sul filo sottile tra la clownerie e il complesso esercizio intellettuale imposto dai testi di Ionesco. La scena era quella più intima del saloncino Paolo Poli trasformato in un teatrino da camera, nel quale gli spettatori sedevano in semicerchio intorno alla grande tavola, il centro della rappresentazione di una umanità frammentata e disorientata.
Grazie a questi attori il pubblico riscopre il valore e la forza della risata che mette a nudo mediocrità e conflitti della comunità umana che sempre di più avverte la nostalgia di un vita con gli altri più piena e riconciliata.