Firenze – Un’ora e 40 minuti sulla scena senza pausa a dialogare con se stesso, i suoi ricordi, i suoi fantasmi. L’Ulisse di Sebastiano Lo Monaco andato in scena alla Pergola in prima serata il 3 maggio (fino all’8 maggio) non ripercorre orgogliosamente le avventure del “nostos” del ritorno a casa se non per evocarne il dolore, il pericolo, la lontananza.
Il momento del ritrovarsi dopo 20 anni sulle coste della sua Itaca diventa il ripensamento angoscioso sui suoi errori, sulla tragedia umana che nasce dalle conseguenze di scelte che non dipendono da noi. Tanta saggezza, tanta astuzia, tanta diplomazia e ragionevolezza si stravolgono nel contrario per volere degli dei, rappresentazione del destino individuale.
Ci sono cose che Ulisse non può fare a meno di fare: se avesse accettato lo sguardo di Elena e non le avesse preferito Penelope non vi sarebbero stati dieci anni di guerra a Troia costata tanto sangue, dolore e morte di giovani eroi. A che serve infine tanta ragione, tanta parola e tanto “logos” di fronte a quello che si sente dentro e che spinge comunque a scelte fatali?
E’ il primo eroe della modernità l’Ulisse tratteggiato da Valerio Massimo Manfredi messo in scena dall’attore siracusano e da SiciliaTeatro (“Il mio nome è nessuno – L’Ulisse”), ma non nel senso del ricercare titanico di “vertute e canoscenza” sfidando l’ignoto. Ulisse è il “nessuno” , cioè il tutti noi che ci illudiamo di controllare la nostra esistenza e siamo invece costretti ad affrontare tutto ciò che non volevamo accadesse.
Un uomo di pace è costretto a versare sangue, sempre. Come essere intelligente e razionale deve intervenire a sciogliere i nodi intrecciati da coloro che si fanno trasportare solo dall’istinto e dalla passione, che non vanno oltre i simboli e i feticci. E’ il suo destino, non può sottrarsi. Ed eccolo tornato nella sua isola pietrosa nella quale, anche lì, deve versare sangue: ancora morte conseguenza della sua lunga lontananza che non voleva.
Un grande spettacolo dunque quello che ha offerto Lo Monaco con la semplice ed efficace regia di Alessio Pizzech, circondato da interlocutori eccellenti nel loro rappresentare personaggi che fanno da contrasto con l’univocità dell’istinto e dell’irrazionalità, alla tragica complessità di Ulisse. E soprattutto da un “coro” che commenta e sottolinea le vicende che racconta composto da 14 sassofonisti e percussionisti, come la banda di un paese siciliano le cui note trasmettono gioia, incertezza, morte, disordine. Il trascolorare degli episodi che sorgono con la forza del ricordo toemntato dal di dentro del protagonista.
Foto: Il mio nome è nessuno L’Ulisse Sebastiano Lo Monaco (foto Tommaso Le Pera)