Firenze – Il viaggio di Edipo finisce a Colono. Cieco e vagabondo. In un mondo smarrito e minaccioso, ieri come oggi. Ombre acide solcano il quotidiano e incombono sui nostri passi. Potrebbe (o dovrebbe) essere un percorso iniziatico dal buio verso la chiarezza quello lanciato all’alba della civiltà da Sofocle due millenni e mezzo fa.
Dall’oscurità del disagio e dell’ignoranza alla luce della coscienza e della conoscenza. Edipo ci invita al viaggio. Sappiamo in partenza che sarà complicato. Terremotato. Traumatico. Enigmatico. Disperatamente tragico. Ai confini della follia e dell’isteria. Il pedaggio da pagare è pesante. Saranno rivelazioni moleste. Espiazioni, miserie, lacerazioni. Ma ogni volta che lo fa (comunque lo faccia) il mito si rinnova. Individualmente e collettivamente.
L’ultimo in ordine di apparizione si dipana in questi giorni alla Pergola di Firenze in due tappe. Senza ritorno. Lo portano per mano, con amorevole fascinazione e generosa empatia, Glauco Mauri e Roberto Sturno. Che per la prima puntata, Edipo re, si affidano alla regia del lanciatissimo Andrea Baracco (il pubblico fiorentino avrà modo di conoscerlo: in arrivo infatti altri due suoi allestimenti: Romeo e Giulietta alla Pergola, Madame Bovary al Niccolini) riservandosi Mauri il secondo approdo, Edipo a Colono. Lo stacco è prima di tutto cromatico.
Fermo restando l’impianto aulico evocativo della recitazione che sfoggia una lodevole “chiarezza”, che spiega e racconta. Dalle pareti plumbee, fra cenere e petrolio, della reggia di Tebe, un bunker, una discarica, un rifugio, un container, un diffuso senso di umidità nerastra buca le ossa, una muffa irrespirabile avvolge l’indicibile e attraversa la scena, la nebbia si dirada, e sfocia nella bianca radura mediterranea di Colono, fra colonne e cippi, la consapevolezza della verità accende la vista e precipita nella libertà. Edipo diventa un thriller, una pedina dopo l’altra riempie la scacchiera del destino e svela fatti e antefatti, oracoli e epifanie, un’avventura epocale che consuma da sempre l’uomo in cerca della propria origine, e dei propri desideri.
Le radici si perdono in una fitta trama del terreno e sarà l’acqua che precipita e stagna sulla scena del primo atto a portale alla luce fra i ruderi del secondo. La consequenzialità è dunque avvincente e restituisce il senso della ricerca che da puramente simbolica diventa reale marcia di avvicinamento al vero. All’altezza del compito tutti gli interpreti (inutile sottolineare il piacere di ascoltare le voci di Glauco Maufri e Roberto Sturno, il loro armonico incedere), Ivan Alovisio, Elena Arvigo, Laura Garofoli, Mauro Mandolini, Roberto Manzi, Giuliano Scarpinato, Paolo Benvenuto Vezzoso. Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta, musiche Germano Mazzocchetti e Giacomo Vezzani, luci Alberto Biondi, video Luca Brinchi e Daniele Spanò. Repliche fino a domenica.