Pergola, il thriller filosofico di Massini dal capolavoro di Umberto Eco

Firenze – Alla Pergola suona l’ora di Stefano Massini. Che, rimasto finora in ombra in cartellone, infila un “uno-due” fulminante. Si è appena chiusa la sua “Ora di ricevimento” con Fabrizio Bentivoglio che ecco, fino a domenica, si insedia l’abbazia benedettina di Umberto Eco, un nome un mito, un best seller, anno 1980, Premio Strega, un unicum della  moderna italica letteratura,  tradotto in 47 lingue, per “Le Monde” tra i cento libri più belli del Novecento, finito al cinema nel 1986 con Sean Connery diretto da Jean-Jacques Annaud. Stefano Massini inforca le pagine del Nome della rosa e ne esplicita la temperatura da thriller filosofico. Non gli manca certo l’estro drammatico, la pazienza descrittiva, il rigore epico, l’energia narrativa. Il plot è fitto. E la carne viva del romanzo, bruciacchiata dal gusto sulfureo dell’intellettuale giocoso che fa del rebus teologico una sorta di erudito “forse non tutti sanno che”, forse era troppa? Di certo il regista Leo Muscato si è sentito in dovere di rimetterci mano. Il risultato è un alveare decoroso, una generosa, a tratti buffonesca come una cavalcata di Brancaleone, quadreria di episodi, punteggiata da tiepido nozionismo in tempi di Santa Inquisizione. Quale verità si nasconde dietro quelle morti serafiche inondate (suggerite?) dal respiro del Maligno? Il senso di Massini per la storia, per le storie che inondano le retrovie scivolose e criminali della contemporaneità, si scopre rapido e sapido nel procedere dell’indagine. Che il Guglielmo da Baskerville di Luca Lazzareschi, documenta con ossequiosa professionalità incoraggiato dal giovane Adso di Giovanni Anzaldo (poi invecchiato, testimone narratore del suo “romanzo di formazione”, sarà un crepuscolare Luigi Diberti), sbarbatello di maniera, tenero contrappasso, che si rifà di grazie muliebri (il nudo di Arianna Primavera, sola presenza femminile, bella voce echeggiante gregoriani), destinate al rogo dall’infoiato inquisitore Bernardo Gui di Eugenio Allegri. Alla fine, così almeno ci è parso questo Nome della rosa, una calcolata, vincente più che avvincente (stante i petali che continuerà a sfogliare da qui a fine stagione) opera di normalizzazione del “discorso teatrale”, funzionale al botteghino. Per portarla a termine produttivamente hanno unito le forze tre Stabili, Torino, Genova, Veneto. Non lesinavano il loro contributo in questa direzione la scena petulante di Margherita Palli e i costumi bellicosi di Silvia Aymonimo (video tanto per fare atmosfera di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii). Gli altri del gruppo erano Giulio Baraldi, Marco Gobetti, Bob Marchese, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Franco Ravera, Marco Zannoni. Si replica fino a domenica.

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