Firenze – C’è il più emblematico spirito pirandelliano nel Berretto a sonagli in scena alla Pergola. Amalgama di paradossi, di ambiguità, di conflitti e dilemmi irrisolti che, come i fili di un’inestricabile matassa, avvolgono i personaggi a cominciare dal protagonista, Ciampa diretto e interpretato magistralmente da Sebastiano Lo Monaco.
Nel Berretto a sonagli si uniscono topoi della società borghese del Novecento come l’onore e la rispettabilità principi cardine dello scrivano Ciampa che, avendo saputo della relazione della moglie con il suo principale, ha come primo imperativo quello di evitare gli scandali affinché tutto torni a posto, anche se nulla è quello che appare.
Ma sullo sfondo, incombe l’ombra del principale di Ciampa, il temuto Cavaliere che è figura paradigmatica del potere (non a caso non si vede in scena) che condiziona ogni personaggio, a cominciare dal delegato di Polizia.
Il berretto a sonagli debuttò esattamente cento anni fa a Roma nel 1917 nella versione in siciliano, quella in italiano fu rappresentata per la prima volta nel 1923. La figura di Ciampa che di solito è quella di un attempato scrivano viene “ringiovanita” e ne acquista in drammaticità, perché come ha giustamente osservato lo stesso Lo Monaco, pur essendo “apparentemente grottesco, è in realtà straziante, ma soprattutto è il più moderno degli eroi pirandelliani”.
Quella rappresentata alla Pergola è una produzione Sicilia Teatro in collaborazione con Festival La Versiliana di Pietrasanta – Teatro Luigi Pirandello di Agrigento. Una versione particolarmente significativa che, interpretando l’accezione drammatica dell’umorismo pirandelliano coglie egregiamente l’originario intendimento dell’autore (nel 1917 Pirandello voleva accentuare le problematiche esistenziali, Musco, invece la comicità di questi paradossi.)
Pirandello ha definito il suo Berretto a sonagli: «Una commedia nata e non scritta». «Su questo pensiero dello scrittore siciliano – dice Sebastiano Lo Monaco – ho costruito la mia regia. Tutti gli attori in questo spettacolo hanno cercato di essere personaggi vivi e veri, più di noi che respiriamo, alternando pianto e riso durante tutto lo svolgimento del dramma.
Straziante anche la figura di Beatrice ( a cui la splendida interpretazione di Maria Rosaria Carli conferisce lo spessore di una drammaticità lacerante ) E’ l’unica che non ha dubbi, che non cade nella spirale dei paradossi, ma questo suo atteggiamento finisce per essere duramente punito, perché non ha la forza d’animo di portarlo fino in fondo.
E toccherà proprio a Ciampa consigliarle un atteggiamento diplomatico e remissivo. Ciampa, personaggio disgraziato per antonomasia. Subisce quello che nella Sicilia (ma in tutta l’Italia) del primo Novecento) era considerato l’affronto più crudele e non può nemmeno ribellarsi perché è stretto nella morsa delle convenienze e delle convenzioni sociali.
Ma tutti i personaggi compresi i comprimari come Nina la moglie fedifraga (Maria Laura Caselli), il Delegato di polizia Spanò (Rosario Petix) in cui il senso del dovere entra in conflitto con la soggezione al Cavaliere e la preziosa partecipazione straordinaria di Gianna Giachetti (Assunta, madre di Beatrice) hanno notevole spessore.
A rendere ingarbugliata la matassa, contribuiscono egregiamente altri personaggi che attorniano Beatrice: La Saracena (Clelia Piscitello) che le consiglia di denunciare il tradimento, Fana (Lina Bernardi)che la invita invece alla cautela Fifì Labella (Claudio Mazzenga) l’indebitato fratello dall’ambiguo atteggiamento.
A rendere pregevole lo spettacolo concorrono in modo significativo le scene di Keiko Shiraishi i costumi di Cristina Da Rold, le musiche di Mario Incudine e le luci di Nevio Cavina.
Una commedia che pone in evidenza le contraddizioni e le nevrosi del teatro pirandelliano e che, pur storicamente contestualizzata, è particolarmente moderna, attuale perché quel berretto a sonagli, il copricapo del giullare di Corte che Ciampa si sente metaforicamente addosso, ce lo sentiamo ogni volta che la necessità di salvare le apparenze, di far prevalere la ragione strumentale, quella della convenienza e dell’immagine, sopprime il diritto di ribellarsi, di sottrarsi alle spire del potere per dire quello che si pensa e agire di conseguenza.