Firenze – I dubbi sono tutti legittimi quando si parla di democrazia. I timori e le preoccupazioni pure. Del tutto legittime sono anche le idiosincrasie politiche e l’opposizione senza se e senza ma.
Nel caso del referendum confermativo della riforma costituzionale dell’ottobre prossimo, tuttavia, vengono presentate alcune argomentazioni contro la legge approvata dal Parlamento che possono essere definite soltanto con la parola conservazione, il male di quest’Italia dei monopoli e della burocrazia.
Scrivo come italiano, maschio di 67 anni da sempre schierato dalla parte del fronte democratico riformista, impegnato con maggiore o minore successo a capire e a razionalizzare i problemi del Paese e a cercare di dare un modesto contributo di cittadino e professionista.
Come tale ho seguito dagli anni 80 in poi la nascita, l’effimera esistenza e la ingloriosa fine di tutti i tentativi per rendere più rapido ed efficiente – sul piano della risposta alle esigenze della società italiana – il meccanismo di formazione della decisione delle istituzioni nazionali così come quella della attuazione di quanto esse hanno deliberato.
Sono storie che i corifei dei due schieramenti stanno raccontando di nuovo e che non occorre ripetere: dalla Commissione bicamerale di Alco Bozzi (1983 – 84) che già prevedeva la funzione legislativa ordinaria per la sola Camera dei deputati, a quella di Ciriaco De Mita e Nilde Iotti (1993-94), alla bicamerale D’Alema – Berlusconi (1997-98). Passando infine per le riforme del primo decennio del nuovo millennio fatte in fretta e a colpi di maggioranza. Più che essere una soluzione portarono all’aggravamento del problema (la crisi del debito pubblico italiano è fortemente legato a quelle riforme sbagliate).
Di fronte all’evidenza degli effetti disastrosi sia dell’immobilismo che dell’attivismo di fazione con il tragico paradosso di un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, sono nati i due governi dell’attuale legislatura. Enrico Letta aveva nominato una nuova commissione dei 36 esperti perché facesse il punto di un “consensus” interpartitico sulle riforme da fare, ma si era impigliato di nuovo nel gioco dei veti incrociati e delle opportunità politiche, a causa del risultato della consultazione elettorale basata su un meccanismo che aveva come principale obiettivo quello di non far vincere nessuno.
Matteo Renzi ha finalmente portato in porto un pacchetto di riforme che hanno superato l’intero percorso previsto dalla Costituzione attraverso anche gli ostacoli del Senato, proprio la Camera che per l’appunto doveva decidere il proprio ridimensionamento politico e legislativo, e nella quale è complicata la formazione di qualunque maggioranza.
Si tratta di riforme ragionevoli, utili e perfettamente coerenti con quanto è stato elaborato negli ultimi 30 anni. Per questo i più intelligenti e autorevoli difensori del “no” preferiscono basare la loro opposizione soprattutto su alcuni degli aspetti della legge elettorale che corre il pericolo – sostengono – di creare maggioranze monstre, esposte alle ambizioni populiste di qualche aspirante “caudillo” nostrano.
Bocciare l’intero pacchetto per scongiurare ipotetici rischi delle legge elettorale sarebbe come buttare via un bambino sano e florido con un’acqua un po’ torbida ed eventualmente suscettibile di correzioni che, come è noto, possono essere fatte in ogni momento con legge ordinaria.
In conclusione, la voglia di questo Paese di fare uno scatto in avanti, mettendo definitivamente da parte un periodo tutt’altro che emozionante della sua storia politica, si esprimerà votando “sì” al referendum di ottobre. Sarà come voltare pagina e riportare un po’ di entusiasmo nel rapporto degli italiani con la politica.