Perché il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non va toccato

Non è altro che la combinazione di due articoli del codice penale

Il concorso esterno in associazione di tipo mafioso non va toccato, non ha senso farlo. Vediamo perché. Ora, se da un lato non si può negare che fosse abbastanza difficile configuarlo e quindi che in dottrina e in giurisprudenza vi fossero difficoltà applicative, dall’altro nel 2003 è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione a sezioni unite (Cass. Pen. S.U. n° 22327/2003) che ha tipizzato il concorso esterno in associazione di tipo mafioso stabilendo: 

• L’occasionalità e autonomia del contributo prestato;

• La funzionalità del contributo al perseguimento degli scopi associativi;

• L’efficienza causale del contributo al rafforzamento e al consolidamento dell’associazione;

• La sussistenza, in capo al soggetto agente, del dolo generico, consistente nella consapevolezza di favorire il conseguimento degli scopi illeciti.

Tra l’altro la sentenza assolveva il famoso magistrato Corrado Carnevale. Una sentenza assolutoria che stabilisce dei criteri è una garanzia ulteriore nei confronti di un indagato.

Il concorso esterno in associazione di tipo mafioso non è altro che la combinazione di due articoli del codice penale: il 110 (pena per coloro che concorrono nel reato) ed il 416bis (associazione mafiosa). È quindi un qualcosa di semplice che serve a colpire soprattutto un soggetto esterno che a ha a che fare con l’associazione mafiosa. Tipico reato da colletto bianco, da professionista contiguo, da borghese colluso.

Concorso di norme che ha trovato poi numerose conferme giurisprudenziali tra cui la seguente: “La fattispecie di “concorso esterno” in associazione di tipo mafioso non costituisce un istituto di  creazione giurisprudenziale, bensì è conseguenza della generale funzione incriminatrice dell’art. 110 cod. pen., che trova applicazione al predetto reato associativo qualora un soggetto, pur non stabilmente inserito nella struttura organizzativa del sodalizio (ed essendo quindi privo dell'”affectio societatis”), fornisce alla stessa un contributo volontario, consapevole concreto e specifico che si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione. (Sez. 5, n. 2653 del 13/10/2015, Paron, Rv. 265926)”.

Quindi non c’è nulla di cui cambiare se un combinato di due norme funziona.

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