Perché i Della Valle ci infliggono ancora i nonsensi di Sousa?

Firenze – Naturalmente Sousa ha visto carattere e voglia di vincere nella squadra contro il Cagliari (e meno male si è risparmiato la frase fatta sui “progressi”), nonostante il primo tempo sembrasse quello di una partita tra scapoli e ammogliati, un allenamento senza un fallo e senza un contrasto, ma anche senza un’azione degna di questo nome, e il secondo tempo una lunga agonia senza un tiro in porta, da parte viola, fino alla sentenza del 92simo.

E Sousa ha avuto anche l’ardire di aggiungere che bisogna continuare così, che “le pecore si contano a maggio” (tradotto in toscano) perché ancora non tutto è perduto aritmeticamente. Salvo poi capire che forse era meglio per lui smetterla di prendere per i fondelli i tifosi con parole in libertà e ha aggiunto, solidale con loro, che la loro delusione è da capire. Perché “negli ultimi 12 anni sono stati quasi sempre in paradiso” e ora “magari sono in purgatorio”. Ma che i tifosi non dimentichino i grandi sacrifici che la proprietà ha fatto e continua a fare per la Fiorentina!

Discorso come sempre fumoso e sibillino, ma in questo caso anche palesemente ruffiano. Ruffiano perché inteso a stornare dai Della Valle le ire degli scontenti; sibillino perché, e neanche tanto indirettamente, forse senza accorgersene (ma la logica e il ragionamento consequenziale non sono il suo forte), Sousa dà la colpa a loro se oggi siamo in purgatorio. E infatti sembra dire: spendendo di più e dandomi i giocatori che volevo si restava nel paradiso di due anni fa!

Chiedo ai Della Valle perché continuino a sopportare e a farci sopportare questi nonsensi e questi sofismi, invece di approfittare delle ultime dieci partite dell’anno per impostare almeno il sembiante della squadra del futuro. Abbiamo infatti capito tutti che da ora alla fine Sousa non solo non si smentirà nelle scelte tattiche (non gli conviene, perché se per un caso la Viola giocasse bene con un 4-3-1-2, allora vedrebbe smentito sul campo tutto il suo lavoro fatto di “desisioni” e “sselte” prese insieme ai giocatori, come lui non esita a ripetere), ma ne farà di ancora più cervellotiche, perché tanto a Firenze lo hanno ringraziato per aver fatto perdere un anno a Berna da terzino e da ala destra, e perché non lo dovrebbero ringraziare per aver sfinito Borja in corse e rincorse inutili, per aver fatto giocare quasi tutti fuori ruolo (un autorevole giornale sportivo stamani lo dice anche di Tello:  insufficiente, “ma deve coprire un ruolo non suo”!), per aver inventato Sanchez terzino, o – e questa è la sua ultima trovata – per aver sperimentato, primo al mondo, un bel 3-2-5 (tanti erano gli uomini d’attacco ieri), con Borja all’occasione ultimo baluardo a interdire davanti alla difesa?

Ovviamente ai nonsensi di Sousa fanno eco gli anacoluti di Corvino. Bisogna aver pazienza, e continuare a lavorare e a crederci. Come se l’Inter, quando ha licenziato l’inetto De Boer per Pioli, avesse smesso di lavorare e di crederci! O come quando Allegri (ma scusate se paragono l’imparagonabile) per far rendere al meglio la sua squadra ha “rischiato” di cambiare gioco, smentendo anche gli acquisti che aveva appena fatto a gennaio. Paradossalmente, infatti, per come gioca ora la Juve dall’inizio di febbraio, forse in rosa Hernanes serviva più di Rincon, e senz’altro tutti quei centrocampisti, da Lemina, a Sturaro, a Mandragora, addirittura a Marchisio e al neoacquisto Bentancourt, sembrano di troppo, mentre manca, per esempio, una vera ala o un trequartista tecnico in grado di saltare l’uomo che possano essere valide alternative ai titolari.

Ma c’è chi, nel bene e nel male, si assume le proprie responsabilità, le dichiara ed è disposto a pagare (Spalletti, a Roma, fa lo stesso). Sousa invece usa quella specie di plurale majestatis: abbiamo “desiso”, abbiamo voluto fare “sselte” diverse, tutti crediamo nel sacrificio e nel lavoro, come se la sostituzione di Berna per “calo d’intensità” e la permanenza in campo di Tello (che l’intensità non sa neanche cosa sia) fossero esempi di democrazia deliberativa, in cui tutti partecipano e acconsentono alle decisioni. Salvo che (cito da un testo di filosofia politica) “non si dovrebbe poter decidere intorno a ciò che non si sa e non si dovrebbe poter decidere se non si sa come farlo”. E questa però è l’Italia, e Sousa, furbo di tre cotte, l’ha capito. A nostre spese.

 

Foto: Andrea Della Valle

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