Milano – Ipotizziamo che la riforma rechi nuove regole capaci di applicarsi davvero, d’ora in poi, a tutti coloro che vivono del proprio lavoro e che sono in una posizione di sostanziale dipendenza da un’azienda: non soltanto a metà di essi, come oggi. Che queste nuove regole, combinate con una drastica riduzione degli oneri contributivi e fiscali, consentano un rapido aumento del tasso delle assunzioni regolari a tempo indeterminato al di sopra della metà del totale dei nuovi assunti (dal 15 per cento scarso a cui si è ridotto oggi), con corrispondente riduzione dei rapporti precari.
Che a tutti i nuovi assunti siano garantite, in caso di licenziamento, un’indennità proporzionata alla durata del rapporto e un’assicurazione contro la disoccupazione capace di garantire a tutti un sostegno del reddito di entità e durata allineate agli standard europei. Che, oltre a questo sostegno del reddito, nel nuovo regime a tutti i lavoratori che perderanno il posto di lavoro venga assicurata la possibilità di scegliere l’agenzia specializzata che preferiscono, tra quelle che si saranno accreditate presso la Regione, per l’assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione; e che l’agenzia sia retribuita a prezzi di mercato con un voucher regionale, pagabile però soltanto a ricollocazione avvenuta.
Se davvero il progetto che il Governo si sta proponendo di attuare fosse questo, avrebbe senso qualificarlo come “attentato ai diritti dei lavoratori” e proclamargli contro uno sciopero generale? Sciopero generale per che cosa, poi? Per difendere la situazione attuale, con le assunzioni a tempo indeterminato sotto il 15 per cento e i disoccupati abbandonati a se stessi nel mercato del lavoro?
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