Per la Grecia (e per l’Europa) non ci sono alternative

Il Paese ellenico deve rimanere nella Ue ad ogni costo: chi parla di default non si rende conto di cosa potrebbe accadere in tutto il continente. Di Alessandro Pala

Alessandro Pala

Nonostante l’ultimo declassamento (come se contasse qualcosa) della Grecia da parte di Fitch, che la pone ad un livello appena sopra al default conclamato, l’Eurosummit ha sbloccato la seconda tranche di aiuti da 130 miliardi di Euro e ha finalizzato l’haircut sul debito greco, ovvero la ristrutturazione del debito con massiccia riduzione dello stock e quindi perdita del capitale da parte dei creditori per quanto riguarda la parte posseduta dagli investitori privati. L’haircut è appena superiore al 50% (53 circa) che sommato ai 130 miliardi,  rappresenta la cifra enorme di circa 210 miliardi di euro, ossia all’incirca 2/3 del debito totale greco.

Non credendo nemmeno per un minuto ad un’improvvisa rivalutazione da parte della Germania, dell’Olanda e della Finlandia nei confronti delle possibilità della Grecia, sembra lecito pensare che nei prossimi 10 anni, qualsiasi azione in materia di politica fiscale ed economica da parte della Grecia sarà sottoposta alla lente d’ingrandimento dei Paesi europei più virtuosi. In pratica, sebbene non lo si voglia dire ad alta voce, la Grecia è di fatto commissariata per i prossimi 10 anni almeno.

Se da un lato questo sembra una sorta di occupazione militare, tralasciando facili qualunquismi sul diritto di sovranità dei greci, sulla crudeltà delle istituzioni finanziarie e sui poveri greci soppressi da manovre pensate dalla finanza criminale, dall’altro lato è evidente che questa sia l’opzione decisamente più favorevole prima di tutto per l’Europa stessa, che deve iniziare a pensare come un’unica nazione, ma soprattutto per il popolo greco, che in questo modo si aggrappa all’unica (invero non ancora solidissima) possibilità di rimanere a tenori di vita propriamente europei.

L’alternativa è ovviamente il default e la conseguente iper-svalutazione della nuova dracma. Se questa è la situazione più facile, è anche quella che porterebbe a conseguenze catastrofiche non solo nel breve, ma anche nel medio periodo. Il paragone con l’Argentina è d’obbligo, per cui è necessario puntualizzare le affinità e le differenze con la situazione del Corralito argentino e smentendo alcuni luoghi comuni :

– non esiste un “default ordinato”. La storia insegna che default significa panico è generalizzato ed inevitabile. La Grecia dovrebbe saperne qualcosa visto che negli ultimi 150 anni è fallita 11 volte;

– la Grecia, a differenza dell’Argentina non ha beni primari rilevanti quali il petrolio o la soia. L’export greco è basato principalmente su frutta, verdura,olio d’oliva e formaggio, oltre a non avere (con qualche eccezione nel trasporto marittimo) industrie di rilievo. Come è facile intuire, l’export greco assomiglia di più a quello di un paese nord-africano piuttosto che quello di un paese europeo;

– l’Argentina dopo il collasso ha avuto una ripresa della crescita economica. Nonostante questo, gran parte del patrimonio del cittadino medio si è completamente vaporizzato e non tornerà ai livelli precedenti prima di 2-3 generazioni. Questo scenario potrebbe essere anche peggiore per la Grecia, non avendo industrie;

– il default provocherebbe un accesso nullo al credito estero per diversi anni. Un paese che non produce nulla di interessante per il resto del mondo, dovrebbe a questo punto vivere in regime semi-autarchico, adottando uno stile di vita non dissimile da quello dei paesi Nordafricani;

– con un default, alcuni beni indispensabili quali benzina, energia e medicinali sarebbero difficilmente importabili con la nuova svalutatissima dracma. Gia ora, molte industrie svizzere stanno riducendo pesantemente la vendita di medicinali in Grecia. Con il default la situazione precipiterebbe;

Per la Grecia, e il popolo greco, un esempio più interessante da seguire sarebbe invece quello delle Repubbliche baltiche, che hanno sofferto pesantemente la crisi del 2008, arrivando ad infliggersi senza clamore un -15% del pil pur di mantenere credibile la propria politica monetaria e fiscale. Oggi le Repubbliche baltiche sono un caso-studio rilevante visto che nonostante la pesantissima recessione nel breve periodo (come e più che il caso greco), sono ritornate a livelli di crescita interessanti. Certo, è costato molto sacrificio, molte misure impopolari e nell’immediato decisamente contrattive, e pochissime manifestazioni contro la crudeltà della finanza internazionale, l’Europa dei plutocrati etc.

Capitolo Italia: la settimana scorsa nella voce “riacquisti Bce di obbligazioni governative italiane” vi era il numero “zero”. In realtà gli acquisti da parte della Bce erano decisamente calati gia dai primi di gennaio, ma vedere che l’Italia si sta muovendo finalmente con le proprie gambe è un motivo di vanto. Fino a qualche mese fa la Bce era l’unico compratore di titoli governativi italiani, mentre ora i bond sono tornati appetibili non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Di certo la strada è ancora lunghissima e come ogni maratona, le energie devono essere dosate per evitare bruschi crolli di zuccheri, ma la credibilità e il lavoro serio, come dicono i freddi numeri, pagano sempre. Di certo è un peccato che l’Italia riacquisti credibilità ogni venti anni, e solo con governi non eletti direttamente dal popolo. Forse abbiamo bisogno di un esame di coscienza.

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