Siena – Come se ci fosse bisogno di virtù profetiche per prevedere che cosa comporterebbe oggi una disgregazione del Pd! La variegata sinistra toscana dovrebbe essere compatta nel battersi contro la iattura di una scissione dalle conseguenze incalcolabili. Si sa bene che parlare al singolare di sinistra è sbagliato, e non solo perché da tempo si devono mischiare analisi e categorie una volta schematicamente etichettabili come destra e sinistra, ma perché non si è concretizzato il tentativo di dar vita ad una formazione politica di nuovo tipo che riunisse aree e sensibilità pronte ad accettare le sfide dei giganteschi mutamenti in corso.
Se c’è una regione nella quale l’intuizione del liberalsocialismo può vantare una sorta di nobile copyright è la Toscana e Firenze ne è stata la culla, anche di dottrina. Questa era ed è la ricetta contro la crisi, altro che la “rivoluzione socialista” proclamata da Enrico Rossi. Il Pd nacque con l’ambizione di esaltare il nucleo di un pensiero che, di fronte alle minacce della globalizzazione e all’illusorio mix di declamato liberismo e agguerriti protezionismi, di apertura dei mercati finanziari e di egoistica riscoperta delle sovranità nazionali, opponesse programmi in grado di disegnare vie nuove, non ideologiche né nostalgiche.
Purtroppo insieme al progetto abbozzato alla Bolognina si è via via rinsecchito l’obiettivo di costruire un bipolarismo capace di aggregare, nell’ambito del centrosinistra, esperienze in grado di contrastare l’offensiva basata sui classici temi, più o meno imbellettati, delle destre. Ovunque hanno preso corpo in Europa direttrici “populistiche” nelle quali sono confluiti i fanatici cultori delle tradizioni reazionarie con settori moderati e sinceri contestatori dell’impotenza delle istituzioni democratiche. Una compiuta e credibile sovranazionalità politica europea non è decollata. Il fondamentalismo monetarista ha suscitato contrapposizioni e discordie.
Di fronte ad un panorama tanto denso di minacce che senso ha separarsi per invertire il senso di marcia e mettersi a rinfrescare i cento fiori appassiti di storiche sconfitte? Gli errori della leadership renziana del Pd si son andati aggravando fino alla disfatta del referendum costituzionale, usato dai più in chiave tutta tattica. Ora si tratta di decidere se, dopo la sconfitta, si preferisce trarne ragionevoli spunti di revisione o se si ci si intestardisce nel far crollare un edificio che non ha mai goduto di eccessiva stabilità. Per come si possono immaginare i sistemi elettorali di domani è, oltretutto, evidente che una buona dose di confuso proporzionalismo, purtroppo, e quindi la necessità di coalizioni plurali riprenderanno spazio. Quindi il campo del centrosinistra dovrà trovare il coraggio di ricomporre un’alleanza che abbia un asse, un perno correttamente egemonico e una realistica visione di governo sui grandi temi all’ordine del giorno.
Che senso ha che ogni componente – quante sono? – si separi per alzare la propria bandiera e quantificare i consensi quando il problema è unirsi per sconfiggere l’ambivalente movimento pentastellato, il neoberlusconismo alle porte, il razzismo in salsa padana? Quanto è accaduto in Europa non ha bisogno di sottili commenti. In Spagna la fuoruscita dalle fila socialiste di chi ha condiviso le posizioni di Podemos ha prodotto la scomparsa dei socialisti da responsabilità di governo. In Germania la socialdemocrazia tenta di ritrovare un volto con Martin Schulz, ma da quando ha perso per strada la toscaneggiante Linke si è indebolita fino al silenzio. In Francia addirittura è in crescita il lepenismo e dai socialisti si percepiscono solo balbettii imbarazzati e impotenti.
E anche là c’è chi pensa che l’impasse possa risolversi pescando nel repertorio del passato. In una mappa così oscura l’esperienza italiana è certo da correggere, e non in dettagli, ma sarebbe criminale gettarla alle ortiche o erigere ostacoli a non finire pur di inalberare simboli di sbiadite identità e personali stizze di feriti orgogli. La scissione che privò il Psi nel 1964 di tanti militanti intenzionati a contrastare la deriva di un centrosinistra a direzione democristiana è stata all’origine delle successive involuzioni: ferì a morte il Psi e ne favorì il declino. La caduta di Prodi voluta da chi sognava un riequilibrio a sinistra ha aperto la strada ad una fase nella quale si sono accumulati molti dei nodi intricatissimi che conosciamo. Nell’immediato un congresso del Pd che si risolvesse in una frettolosa conta dei voti sarebbe una mossa del tutto contraria alle necessità. Ci si confronti anche in modo aspro sul “programma fondamentale” da assumere, lasciando in parentesi le logiche infauste della matematica correntizia e pre-elettorale.
Una conferenza programmatica condotta con lealtà e senza spirito di rivalse potrebbe davvero costituire una camera di decantazione dei veleni e delle sortite demagogiche evitando un fallimento collettivo. A seguire un congresso nel quale siano leggibili e esplicite le varie posizioni e le persone che le rappresentano. Quindi elezioni, probabilmente alla fine naturale della legislatura, dopo aver varato un sistema elettorale che garantisca trasparenza e stabilità. Questo è uno dei calendari più razionali. Altrimenti saranno inevitabili danni irreparabili – un suicidio – non solo per un partito, ma per l’Italia. Che rischia di scomparire dalla scena quale interlocutore autorevole e degno di ascolto alla vigilia della celebrazione – riflessione – del Trattato, che a Roma nel ’57 dette avvio ad un’avventura da non riporre in archivio.