Il dato elettorale italiano per le europee è stato travolgente, inatteso e denso di significato. Il Pd, partito che era dato per vincente ai punti, è andato oltre ogni previsione e ha distaccato, appunto inaspettatamente, il M5s di quasi 20 punti. E con il PD al governo e con Renzi alla guida il messaggio del popolo elettore è inequivocabilmente “chiaro e forte”.
Il Pd che arriva al 40% degli elettori, pur considerando il forte astensionismo tipico delle europee e ulteriormente accentuatosi in questa tornata elettorale, fa fare un salto di qualità alla natura di questo partito. Come dire che i confronti con l’allora pci (mai il pci era arrivato a questa soglia!) appaiono del tutto fuori luogo. Il pci era un partito di sinistra, dentro la tradizione comunista, e radicato in alcuni valori e ideologie tipiche della sinistra italiana ed europea dell’800.
Certo che si era venuto modificando nel corso della esperienza di lotta politica all’interno del “mondo occidentale” in senso socialdemocratico e riformista ma che di quelle origini manteneva ancora, anche negli “ultimi anni ’80”, molti tratti caratteristici. Il PD di Veltroni aveva cercato una via di “cambiamento forte” rispetto alla tradizione: alcuni inserimenti di contenuti e di modi di essere del tutto innovativi, il tentativo di far diventare il PD un partito a vocazione maggioritaria, una comunicazione diversa e più diretta fra leader e militanti e leader ed elettori cittadini. Ma il tentativo, che si era fermato al 33% dei consensi, si era poi bloccato sia per difficoltà esterne (la, ancora forte, volontà identitaria degli elettori italiani) sia per difficoltà interne (l’attacco immediato dopo appena un tentativo che pur non poteva dirsi del tutto fallito).
L’attuale risultato elettorale, che si accompagna alla forte “cesura” data dalla leadership di Renzi alla politica del centrosinistra e quindi alla sostanza politica del PD e alle modalità del tutto inedite con cui Renzi è arrivato alla guida del Governo e con cui comunica in maniera diretta con i cittadini elettori, lascia trasparire la possibilità del PD di intraprendere, per la prima volta dalla sua nascita, una strada decisa per al costruzione di un nuovo partito.
Il PD nasce, ed era inevitabile, come la somma di mondi già esistenti: in primo luogo gli ex pci e gli ex dc di matrice democratico popolare. Con Prodi c’è un tentativo importante di farlo andare oltre. Di mettere a tacere il ruolo e la cultura, a volte troppo rigidamente professata, dei due “azionisti di maggioranza”. E di aprire a tanti elettori cittadini e giovani che non si identificavano con quelle culture politiche. Ma anche in quel caso, nonostante lo sforzo dell’Ulivo, il Pd non è riuscito a fare il salto verso nuove praterie. E alla fine si è preferito rinsaldare il PD in un accordo minimalista fra gli ex: con tutte le rigidità, i rancori mai sopiti e le piccole battaglie tipiche del passato.
Oggi, il PD di Renzi che arriva e supera il 40% dei voti, che distacca di quasi 20 punti il M5S proprio nel mentre nel resto di Europa tracimano i partiti antieuropei e populisti, comincia ad essere qualcosa di veramente diverso da quella che è stata fino ad oggi la tradizione del centrosinistra italiano. Si apre una stagione nuova. La stagione del centrosinistra che aspira a diventare strutturalmente, e non come fatto occasionale, un perno della governabilità del paese. Non ci sono più né fattori K né altri fattori che rendono impresentabile il centrosinistra. E si apre finalmente un’arena in cui saranno i programmi, i leader e i partiti a definire la credibilità di uno dei poli (due, tre? vedremo) a governare e non le paure del “salto nel buio”!
Questa lettura che ci parla di un definitivo “sdoganamento” del centrosinistra, in tutta la sua caratterizzazione a meno forse di una frangia estrema indissolubilmente incapace di porsi come elemento di governabilità, e rifugge l’idea, oggi in voga in alcuni commenti, dei voti del PD “presi a prestito” dalla destra. I passaggi fra schieramenti rigidi, l’idea del prestito e cose simili nascondono un’idea proprietaria dei partiti del corpo elettorale del paese.
Ed invece il corpo elettorale se ha, ed è innegabile, parti di sistema quasi fisse nella tripartizione politica tradizionale (sinistra, centro, destra) mette in evidenza sempre di più parti fluide, trasversali, flessibili nel voto che rappresentano l’elemento fondamentale su cui si fonda la vittoria o la sconfitta di un polo. E il PD di Renzi è riuscito a interpretare bene questa fluidità e questa volontà degli elettori di scegliere un programma, di dare fiducia ad un leader e di votare un partito a seconda di quanto questo interpreta più meno le esigenze generali del paese.
E in questo momento il paese, la sua parte maggioritaria, vuole tre cose. Un paese efficiente e innovativo. Non più schiavo della burocrazia, degli azzeccagarbugli e degli incapaci. Poi vuole un paese che cresce, che si sviluppa e che crea occupazione, in primo luogo per i giovani, ma anche per i tanti non più giovani che hanno perso lavoro. Ed infine un paese più sereno, con più fiducia in sé, nella comunità e nei singoli, e con minore turbolenza nelle istituzioni e nel paese. Di fronte ad una destra depressa, divisa e senza guida e anche senza idee, ad un polo grillino che scatenava l’inferno ad ogni apparizione e che minacciava ulteriore turbolenza in caso di vittoria la proposta del PD di Renzi è stata vincente perchè ha suscitato la fiducia del paese.
La fiducia che sulle tre cose che il paese chiede, Renzi, col Governo e col PD, sia l’unico in grado di rispondere con una qualche possibilità di successo. E con proposte, che se pur non sono ad oggi completamente definite, lasciano trasparire una via chiara e ferma di risoluzione. Ha un senso di fronte a tutto questo porsi il problema se il PD di Renzi è definibile ancora come un partito di sinistra? Come hanno cominciato a fare ancora tanti, troppi, commentatori? No non ha senso. Il PD è un partito di centrosinistra che ha al proprio interno culture e presenze di sinistra ma che non sono “per grazia di Dio” maggioritarie ed egemoni nel partito.
Come invece alcuni dei rappresentanti della sinistra del PD hanno lasciato trasparire di pensare. In un partito di centrosinistra gli spostamenti di “asse politico” non sono dati una volta per tutte ma sono flessibili e modificabili secondo il “sano e concreto” concetto di gramsciana egemonia. E questa egemonia la si gioca sia all’interno del partito ma anche, e sempre di più, nel rapporto fra leader e correnti del partito e cittadini elettori. Ed è su questo rapporto che si gioca la collocazione del partito nel sistema politico e nella società.
E quindi avremo società mobili, fluide, flessibili e partiti che si muovono anche loro in cerca di intercettare questo continuo movimento. Continuare a parlare in maniera statica del PD di Renzi (la nuova DC, non più di sinistra , etc) è uno sport che può interessare soltanto vecchi e superati “baroni” della politica, della cultura e del giornalismo italiano. Uno sport che fortunatamente interessa sempre meno i cittadini elettori italiani.
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