La proposta di riforma costituzionale è stata bocciata, con grande partecipazione dell’elettorato. Dopo anni di progressiva disaffezione verso la politica, si è riacceso il dibattito nella società, nei luoghi di lavoro e nelle piazze, e l’alta partecipazione legittima ancora di più l’esito del voto. Gli elettori per la seconda volta hanno difeso la Costituzione da progetti di riforma pasticciati, rischiosi per aspetti plebiscitari e centralisti.La modifica costituzionale era estremamente impattante per la Costituzione, che non avrebbe retto alle sollecitazioni costanti dei conflitti Camera-Senato o Regioni-Stato che si sarebbero generati. Oggi non ha senso parlare di vincitori e vinti, e non si deve ricondurre il No a una forza politica: sarebbe sbagliato e controproducente semplificare. Il Sud ha espresso un voto contrario che non è certo leghista ed è solo scarsamente grillino. La Puglia per esempio ha seguito il suo presidente, esponente del PD.
Il Partito Democratico esce sconfitto da questo referendum per l’alto livello di politicizzazione che il suo segretario, nonché presidente del Consiglio, ha voluto dare alla campagna referendaria. L’errore è stato a monte, quando si è deciso di proporre – in alcuni casi imporre – una riforma intricata e complessa tramite un “Bignami” ottimistico, a suon di slogan e presenza mediatica. La semplificazione e l’estrema personalizzazione hanno causato un cortocircuito di contenuti sin dai passaggi parlamentari. Maggiore dialettica e apertura avrebbero generato più condivisione. Nelle riforme costituzionali il Parlamento – e non il governo – deve riconoscersi nella più ampia misura, rispettando tutte le forze dell’arco costituzionale. Questo è il punto irrinunciabile: saper ascoltare più parti e non essere autoreferenziali. Così come sapere che essere di sinistra è una condizione che fissa delle priorità, che al capitale preferisce comunque il lavoro, al profitto lo stato sociale, al verticismo la partecipazione, come vanno dicendo Corbyn, Sanders e Schultz.
Ci sono dati di natura sociale che emergono dal voto di ieri. I Comuni con un alto tasso di disoccupazione hanno votato in blocco No, quelli meno colpiti hanno sostenuto il Sì. Come è avvenuto in altre elezioni e referendum in Europa, la scelta di rendere i governi gli attori politici principali e indebolire il ruolo dei partiti, sempre più simili tra loro e sempre più sbiaditi, è una scelta che porta alla disaffezione e al voto di protesta. Questa riforma, nell’accentrare il potere verso maggioranza e governo, non dava garanzie di condivisioni sociali e partecipazione. Il risultato, in ogni sede, va valutato solo per quello che è. Un presidente del consiglio in questi casi dovrebbe prendere decisioni con grande pacatezza e riflessione, mentre un segretario del partito che ha in maggioranza sostenuto la riforma dovrebbe da subito aprire il dibattito per ricostruire l’unità su obiettivi comuni che ci consentano di superare questa fase così complessa e dare corso a una fase politica conseguente. Sembra che stia avvenendo il contrario.