Pd: malumori marini. I democratici si spaccano sul sindaco della Capitale

Le dimissioni del sindaco di Roma dividono (più o meno nascostamente) gli animi dei democratici reggiani riproponendo l’adagio originale dei pro o contro Matteo Renzi
de franco e marino
Marino con De Franco

Non poteva non toccare più o meno carsicamente anche il Pd reggiano la vicenda delle annunciate dimissioni del sindaco di Roma Ignazio Marino dopo mesi di tiro al bersaglio nei suoi confronti specie ad opera dei vertici nazionali del suo stesso partito.

Non che il primo cittadino a tempo della Capitale non abbia fornito un numero incalcolabile di assist a chi lo voleva trombare. Ma il Partito Democratico, sull’altare della tenuta di Governo o di altri interessi, non ha sacrificato vittime estremamente più immolabili dello stesso Marino.

Fatto sta che, proprio nei giorni in cui serpeggia un certo malumore nei circoli cittadini, dopo la notizia che molte sedi saranno messe in vendita (a partire dal quella centrale di via Gandhi), anche il trattamento riservato da Renzi a Marino è servito a rinfocolare la mai sopita polemica tra rottamatori della prima ora e rottamatori per mancanza di alternative. Cioè tra coloro che ritengono Renzi un vero riformatore del Paese e chi invece rinfaccio al loro partito il progressivo smarrimento di un’identità di sinistra.

Prese di posizione nel senso classico del termine non ce ne sono state ma come spesso accade sono i social media la vera cartina di tornasole degli stati d’animo dei simpatizzanti. Da una parte dunque soprattutto le giovane leve cittadine del partito, a partire dai consiglieri comunali Lanfranco De Franco (che si iscrisse al partito el 2009 nproprio per sostenere Marino) e Dario De Lucia (che ha postato un cenno sui problemi di democrazia interna al partito a proposito delle Primarie rinnegate).

Dall’altra il più renziano di tutti almeno all’apparenza, dalle sponde rivierasche del Po borettese, il sindaco Massimo Gazza. Che parla in sostanza di antirenzismo a conveniente intermittenza. Siamo insomma alle solite. Tutti ancora assieme inevitabilmente.

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