Pd: le ragioni della sconfitta, le cose da fare

Pistoia – E diciamolo pure. Senza paura, senza timidezza e senza vergogna. Perché ammettere gli errori non è segno di debolezza ma di forza critica e consapevolezza. Questo è da sempre la caratteristica della sinistra, non tirarsi mai indietro dalle riflessioni. Forse anche, e spesso, troppo spesso, sopravvalutate e autoreferenziali. È vero. Però vengono fatte, puntualmente, è questa la forza del popolo democratico.

Da Domenica scorsa si legge di tutto, dallo statista autorevole che analizza e spacca il capello in quattro, all’ultimo dei cialtroni che si erge sul podio a commentare i risultati elettorali. Analisi che urge fare, ma che spetta a chi davvero ne ha le competenze, e non a sedicenti ed abituali frequentatori dei social che solo per il fatto che si occupano di politica emettono sentenze, con tanto di tono perentorio a sottolinearne la verità che depositano.

Quando Eco, suscitando non poche polemiche, uscì con la, ormai da tutti, nota riflessione, pensai che mi avesse letto nel pensiero. Andiamo oltre. Analisi politica, quindi, lasciamola fare a chi di competenza, mi limiterò solo a sottolineare quanto sia stato deflagrante il risultato di alcune realtà, proprio in funzione della reale incapacità di riflessione che la società ormai ha raggiunto. Pensare di cambiare le cose con l’affidare ad occhi chiusi la propria città a chi si sente un Padreterno con la gruccia attaccata alla camicia che “farà diventare tutti più buoni” inizia a fare paura.

Perché non è tanto l’aver perso una città, un Comune, o più, che brucia, ma avere ben chiaro a “chi” è andato. “Lo vedremo presto” , frase che ormai si legge ovunque, ma presto quanto? E nel frattempo? Sarà il Direttorio a decide il da farsi, questo hanno detto. È davvero questo che hanno voluto i cittadini che hanno preferito votare i Pentastellati? O, piuttosto, hanno espresso il loro malcontento, il loro dolore, la delusione, la rabbia e la voglia davvero del cambiamento? Questa è la riflessione.

Quella che dovrà fare obbligatoriamente Venerdì, in Direzione Pd, il Segretario Matteo Renzi. Quanta rottamazione e quanto cambiamento annunciato e promesso è stato compiuto? E quanto ha giocato la divisione interna, le lotte per la leadership, la paura di perdita di posizioni di potere ? Tutto ciò ha giovato solo alla ascesa di persone che fino a poco tempo fa neppure si sarebbero sognate di sedere sugli scranni del governo. Eppure ci sono, e chiediamoci perché. E poi ci sono gli sconfitti, che si sa, in democrazia hanno sempre torto. È vero, ma è altrettanto vero che capire le ragioni della sconfitta può, di per se, contenere gli ingredienti della prossima rivincita, ma solo se si capiscono.

“Un voto di cambiamento, non di protesta” così Matteo Renzi si è espresso in merito al risultato elettorale. Perché su di lui, più che altro, si è riversato il ” sua culpa”. Perdere Roma, perdita già annunciata del resto per come la città ha vissuto ” Mafia capitale” e la vicenda Marino, oltre che Torino ed altri Comuni, ha scatenato il verbo di chi non aspettava altro che aprire le danze contro Renzi. Ormai è nota quotidiana il giudizio negativo sull’andamento politico del PD a sua guida.

Quindi, leadership terminata? Affatto. Nonostante le voci di sfiducia che arrivano, dalle file dei suoi  tenaci sostenitori emerge che la promessa rivoluzione renziana è solo all’inizio e che il risultato elettorale rappresenta solo un piccolo stop ma non ferma il vento del cambiamento. L’avanzata del M5s, che risulta vincere 19 ballottaggi su 20, c’è, ma non è un risultato così esilarante. Basterebbe ricordare che non si sono presentati in un altro centinaio di Comuni, quindi un buon risultato, ma non certo dato nazionale preoccupante. All’interno del Pd c’è una parte, la cosiddetta minoranza, che sappiamo bene essere rimasta legata al suo passato, e pensa che non ci sia troppa sinistra nel partito così da averne provocato l’insuccesso.

Può essere questo sufficiente a far avanzare altre forze politiche? Certo, se quella parte si esime dal votare di fatto, viene a mancare il numero. Per non voler pensare di peggio. Voglia di giustizialismo? Forse voglia di cambiare, specie per Roma, ed optare per chi si propone come rivoluzionario. Ma è l’assenteismo a fare ormai da padrone, quasi da costituire una forza politica. La narrazione e gli slogan non aiutano più, occorrono i fatti ed il PD deve avere la capacità di attrarre ed unire altre forze sane, che si mettano in gioco, e possano portare contenuti di spessore.

Occorrono nuove idee e nuove persone. E sopratutto un impegno nei territori, ad iniziare dai Circoli territoriali, sempre meno frequentati. Attuare altre modalità, anche riconoscendo il lavoro dei circoli on line, diretti con opportune competenze. Un Pd, questo di oggi, che rappresenta un coacervo di non meglio identificati potentati locali,  capibastone e capicorrente che, più facilmente si mettono a disposizione per opposizione anziché per arricciarsi le maniche e dare una mano. Lo si è visto bene in questi ultimi mesi, l’ assenza totale di campagna elettorale a livello nazionale ha proprio dimostrato apertamente la paura di esaltare troppo i risultati ottenuti dal governo.

Non c’è dubbio, come non c’è dubbio che a festeggiare l’abolizione Imu e Tasi c’erano solo i sostenitori del Premier, così come nei ” Banchetti Day”, la maggior parte del partito assente, ovunque. C’è un nuovo gruppo dirigente che ha appena iniziato a riformare, a “rottamare”, mentre quelli meglio definiti ” vecchi arnesi della politica”, remano contro. A tal punto da favorire e ( forse) sperare nella perdita del proprio partito così da potersi permettere di delegittimarne il Segretario.

Ecco, l’unica cosa di cui davvero non c’è bisogno oggi è proprio questo. Basta con le lotte tra correnti che, più che rappresentare il confronto e le diversità, corrodono. Basta con le vecchie logiche di potere, prima o poi, ( meglio prima) il PD dovrà cambiare metodo e classe dirigente.

Bisogna dare risposte, confrontarci su temi, agire nei territori. Esserci. Bisognerà dare parola e spazio a quei cittadini che si interessano di politica, ma sempre esclusi, anziché ai “soliti noti”, pensando ad una fase congressuale dove possono venir esaltate persone di spessore, messe sempre nel sottoscala , magari usandoli solo strategicamente quando occorre. Questa è davvero la rivoluzione renziana che si attendeva. Quella “rottamazione” che , al di là del tono linguistico pesante, conteneva anche la forza del cambiamento. E che non c’è stata.

Ciò che però è reale, e Renzi lo sa bene, è che quei voti al m5s non siano così rappresentativi. Infatti è proprio Renzi che afferma sul Corriere che «A Milano come a Torino non c’è nessuna Santa Alleanza contro di me. Basti pensare che tra chi vota Appendino a Torino c’è, ahimè, anche gente che poi dirà “si” alla riforma e che addirittura vota e ha votato per me. Si tratta di gente (molti giovani) che si esprime contro quella che considera la vecchia politica» Ed è questa la ragione per la quale il presidente del Consiglio non teme le conseguenze di questo risultato, neppure per il referendum di Ottobre che poco c’entra con questa tornata elettorale.

Ma il PD dovrà necessariamente fare un passo avanti, puntando ad un partito dell’innovazione, del merito, dei contenuti, della corretta e strategica comunicazione. Non c’è alternativa. E non c’è tempo da perdere. Il PD con Renzi come Segretario è l’unica strada possibile per portare l’Italia al referendum di ottobre dove lui stesso ha messo la faccia, anche se non è una sfida personale, ma perché da lui fortemente voluto, e rappresenta una grande scelta fra innovazione e conservazione. Il resto ? solo caos, disordine, dilettantismo e demagogia, in un momento storico dove, invece, occorre ordine, competenza, scienza, impegno, bravura, genio, capacità organizzative, iniziative e vera innovazione. Fuori i parassiti, ed i patetici radical chic, dentro i riformisti, i professionisti, i coraggiosi, gli onesti, gli intelligenti, il meglio di questa società. Ed al diavolo la  loro provenienza!

Ci aspetta la grande sfida del Sì. Solo dopo la sua affermazione avremo davvero un Paese che riparte. Tutti a lavorare, e senza perdere tempo prezioso con necrologi e mea culpa inutili. E Matteo ( Renzi ) deve capire sopratutto una cosa. Si deve occupare del PD, anche delegando, perché al dì la delle correnti, che democraticamente è giusto esistano, è da lì che nascono le linee di governo.

Renziani, forse “non renziani” . Cuperliani, Bersaniani, Dalemiani, tutti ” Speranzosi” di farsi largo affossando chi sta faticosamente lavorando per l’Italia. Ma che diamine ! Proviamo a passare dalla prima elementare alle scuole medie?  L’Italia lo chiede.

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