Il gravissimo incidente ai reattori nucleari di Fukushima ha riproposto il problema del rischio causato dalle radiazioni ionizzanti, ossia di quelle radiazioni in grado di strappare elettroni dagli atomi e dalle molecole del mezzo che attraversano.
Per orientarsi sul problema del rischio connesso con le radiazioni è utile saperne qualcosa di più, ed è quello che cercherò di fare, nel modo più semplice. I numeri che citerò sono presi dalla letteratura sull’argomento, che però non sempre dà valutazioni del tutto concordi. Per esempio, sapete che, indipendentemente dai reattori nucleari e degli eventuali incidenti, ogni persona è sede di 10 000-12 000 disintegrazioni nucleari al secondo (= 12 000 becquerel), e per tutta la sua vita, dal carbonio 14 e da altri nuclei radioattivi? La radioattività è sempre presente in ciascuno di noi, in ogni essere vivente, e intorno a noi, per tutta la vita. Per fortuna in dosi non nocive.
Le radiazioni
Non sono ionizzanti la luce visibile, l’infrarosso (radiazione termica), le microonde (quelle dei forni che abbiamo nelle nostre cucine), le radioonde (quelle delle trasmissioni radio e TV e dei telefonini). Sono radiazioni ionizzanti i raggi X, le particelle e le radiazioni emesse dai nuclei atomici instabili, ossia per l’appunto radioattivi, e una parte della radiazione cosmica.
In natura esistono vari tipi di nuclei radioattivi.
Alcuni sono prodotti nell’atmosfera da una radiazione che investe la Terra dall’esterno, la radiazione cosmica; il più noto è il carbonio 14 – il numero indica all’incirca il peso del nucleo, prendendo come unità il peso dell’atomo di idrogeno. Altri si trovano all’interno della Terra fin dalla sua formazione, circa 4,6 miliardi di anni fa, o derivano dalle trasformazione dei nuclei inizialmente presenti (nuclei figli); la loro quantità è andata diminuendo nel tempo, proprio perché, essendo instabili, gradualmente si trasformano in altri nuclei; sono questi i radionuclidi primordiali. Alcuni esempi: il potassio 40, il torio 232, l’uranio 238, l’uranio 235, che è alla base del funzionamento dei reattori nucleari. Alla presenza di questi nuclei si deve il riscaldamento dell’interno del nostro pianeta, responsabile, fra l’altro, della deriva delle placche terrestri.
Il numero dei nuclei radioattivi diminuisce nel tempo, perché, emettendo radiazioni, si trasformano in altri nuclei, stabili, o radioattivi a loro volta; il ritmo della diminuzione è misurato dal tempo di dimezzamento, ossia dall’intervallo di tempo durante il quale il loro numero si riduca alla metà. Il tempo di dimezzamento varia da miliardi di anni a frazioni del secondo; quello dei nuclei primordiali è confrontabile con l’età della Terra; se fosse molto più breve oggi non ne troveremmo più.
L’uranio, trasformandosi, emette un gas radioattivo, il radon, importante nell’inquinamento ambientale e presente anche nelle nostre abitazioni, filtrando dal suolo e dai materiali da costruzione. Non c’è aumento misurabile del tasso di cancro al polmone dovuto al radon nelle abitazioni, mentre c’è nei minatori di uranio.
Dose media assorbita in un anno da ogni persona
L’unità di misura è il Sievert (Sv); un Sievert = 100 rem.
2.4 millisievert/anno (mSv/anno) = 0.0024 Sievert = 0.24 rem è la dose media annua:
0,25 da radiazione interna + 0,3-0,5 dai raggi cosmici + 0,1-10 dal suolo (dipende dal tipo di suolo) + 1 dal radon + 0.3-1.0 per la radiodiagnostica e la radioterapia (nei paesi sviluppati). La dose per una TAC è di 2-10 mSv
Questa dose media è evidentemente innocua.
Ma ci sono regioni dove la radiazione dal suolo è molto maggiore.
In alcune zone del Brasile è la dose è 50 mSv/anno, o addirittura 400 mSv/yr nella regione di Guarapari e circa altrettanta in alcune aree del sud-est della Francia; 240 a Ramsar in Iran, 35 nel Kerala in India; per l’Italia, 5 mSv/anno a Orvieto, 2.13 a Napoli, molto meno nella Valle d’Aosta. In Piazza San Pietro, a causa del torio naturale contenuto nella roccia di porfido (i famosi”sanpietrini”) di cui è lastricata la pavimentazione, la dose equivalente di radiazioni ionizzanti è dell’ordine dei 7 mSv/anno.
Tuttavia anche in queste regioni non c’è evidenza di un aumento delle malattie dovute alle radiazioni, leucemie e cancri. Probabilmente, a dosi relativamente basse, anche se 100 volte maggiori di quelle medie, l’organismo reagisce attraverso un meccanismo di riparazione del danno provocato alle nostre cellule dalle radiazioni. Nell’irraggiamento acuto, assorbito nell’arco di qualche ora, la dose alla quale si incominciano ad osservare effetti seri sulla salute è 100-200 mSv (questo dato sembra in contrasto con quanto scritto sopra); malattie specifiche si sono osservate a 1000 mSv = 1 Sv; a 6 Sv la sopravvivenza è improbabile.
Un tempo non c’era molta coscienza dei possibili danni da radiazione. Maria Curie Sklodowska probabilmente morì di anemia aplastica (1934) perché aveva maneggiato senza protezione materiale radioattivo. Forse lo stesso accadde a Enrico Fermi, morto per tumore allo stomaco (1954).
Il mio papà, medico, a volte faceva radioscopie ai suoi pazienti senza proteggersi le mani.
Quando mia figlia Elena era molto piccola, l’ho dovuta portare in ospedale per una radiografia all’addome; ricordo che ho raccomandato al radiologo di proteggerle la zona delle ovaie con l’apposito schermo al piombo. Il medico mi ha guardato con scetticismo e ha detto che queste precauzioni sono ubbie da fisici. Però, quando in Italia si diffondeva l’isteria per i possibili rischi causati ricadute radioattive in seguito al tremendo incidente al reattore di Chernobyl, io mi sentivo abbastanza tranquillo, perché le dosi, almeno dalle mie parti, erano deboli.
Cosa si può concludere? Le radiazioni ionizzanti, al di sopra di certe dosi, possono essere nocive e indurre malattie gravi, ma non devono essere demonizzate come una minaccia subdola e terribile anche in situazioni a bassa dose. Dobbiamo imparare a valutare e a confrontare i rischi, che sono sempre presenti anche quando stiamo semplicemente passeggiando nella nostra città.
Paradossalmente, il lavoro più pericoloso è la presidenza degli Stati Uniti: quattro presidenti su 42 assassinati, quasi il 10%, più gravi attentati ad altri quattro presidenti.