Prosegue il giro dei parchi pubblici di Stamp Turista. Oggi è di turno il giardino Stibbert.
Firenze – Il giardino Stibbert non salta all’occhio facilmente, bisogna allontanarsi da Via Vittorio Emanuele, strada di grande scorrimento, e inerpicarsi per qualche centinaio di metri in una via stretta e costeggiata da palazzine illustri. Già da fuori giungono all’orecchio le voci di ragazzi che giocano a calcio sull’erba: il tonfo del piede contro il pallone, le risate e i lamenti per un tiro sbagliato. Lungo il corridoio principale fatto di alberi e ghiaia, alcune anziane si ritrovano per passeggiare e chiacchierare sedute sulle nuove panchine di legno.
Ai piedi di ogni pianta, vecchi cartellini rovinati dalla pioggia e dal tempo ne mostrano il nome scientifico.
Alla parte bassa del giardino si accede tramite delle rampe di scale sorvegliate da leoni in pietra: il grande stagno, al centro, predomina la scena. Una bambina lancia i sassolini contro le anatre e queste scappano in massa, disegnando scie e starnazzando. In mezzo all’acqua troneggia una struttura in pietra dai richiami egiziani, come se galleggiasse: quattro pareti a formare un cubo e due porte una di fronte all’altra, cosicché dalla giusta angolazione è possibile vederci attraverso.
Alcune zone sono recintate, in attesa di lavori di manutenzione, ma il parco si lascia comunque ammirare: c’è molto silenzio, forse per la mancanza di aree per bambini, ed anche nei periodi in cui il giardino è più affollato è sempre possibile trovare una zona tranquilla, per leggere o riposare.
Salendo sulla collina si raggiunge l’edificio del museo, ben curato, con fiori freschi piantati nei vasi. Qualcuno parte da qui a fare jogging e prosegue lungo tutto il perimetro del parco.
L’atmosfera del parco è tale che si fa facilmente perdonare la mancanza di alcune di quelle cose che di solito sono considerate “indispensabili” per i parchi a uso pubblico, come un fontanello di acqua potabile, aree attrezzate con giochi per bambini, aree dedicate ai cani. Ma l’incanto dello Stibbert è tutto nelle presenze silenti delle sue statue, leoni o umani che guardano con occhi ciechi il passaggio del viandante, o scrutano il veloce, silenzioso sgattaiolare felino dei gatti; nei suoi sentieri un po’ malandati, nell’aria ottocentesca che lo pervade. Ci si potrebbe aspettare, da un momento all’altro, di vedere spuntare Byron e Shelley impegnati in una vivace discussione sulla poesia.