Siena – In questi giorni di reclusione forzata ma necessaria molto ha fatto discutere l’allineamento scrupoloso che le gerarchie ecclesiastiche hanno osservato nell’uniformarsi alle norme emanate dallo Stato e alle conseguenti indicazioni di comportamento.
A me è sembrato semplicemente sia stata una dimostrazione matura di laicità, consapevole della distinzione tra comunione di fede e disposizioni volte a proteggere la vita di tutti quale bene comune.
Ho chiesto a padre Bruno, illustre docente all’Angelicum, di riassumere lui i fondamenti di dottrina che legittimano pienamente ciò che è stato fatto e anzi rendono evidente la distinzione non chiara a certo sofistico integralismo tra partecipazione intenzionale di fede e esteriorità pubblica e cerimoniale di culto, di per sé non determinante a rendere valide e reali le azioni sacre.
Roberto Barzanti
Può lo Stato limitare la libertà religiosa?
padre Bruno Esposito O.P.
In questi giorni da più parti si è scritto o si è parlato, riguardo ai vari Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri italiano (attenzione: non Decreti Legge), recanti diverse misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale. Lo stesso è avvenuto, anche se con tempi e modalità diversissime, in quasi tutti gli Stati del mondo.
Tra queste misure, com’è noto, ci sono alcune che riguardano in concreto il divieto di celebrazioni liturgiche con il pubblico, compresi i funerali, e la possibilità o meno di accedere ai luoghi di culto a precise condizioni. Non sembra che ci siano restrizioni nei confronti dei vari ministri di culto nell’esercizio individuale del loro ministero (che non può e non deve essere qualificato come ‘lavoro’ essenziale).
Per cui eventuali limitazioni in detto esercizio sono decisioni personali dei singoli ministri o dei rispettivi superiori gerarchici. Riguardo a queste disposizioni dei vari governi, come sempre avviene quando si reagisce a qualcuno od a qualche situazione, c’è chi ha appoggiato incondizionatamente tali provvedimenti e chi li ha invece ritenuti lesivi della libertà religiosa ed addirittura offensivi verso le persone credenti. Tra questi ultimi, più di qualcuno non ha mancato di notare, ovviamente in modo paradossale, che prevedendo alcune normative la possibilità di andare senza limiti dal tabaccaio per comprare le sigarette, alla fine il bisogno di fumare era più rispettato e tutelato di quello di pregare, individualmente, in un luogo di culto aperto.
Convinto che le polemiche, soprattutto in un momento come questo, non servono a nessuno, in modo particolare in un ambito come quello della fede, evitando di entrare nei dettagli e nelle infinite pieghe che nascondono i suddetti interventi dei vari Stati, rimanendo solo ad un livello giuridico, qui voglio solo proporre alcuni principi fondamentali.
Infatti, in questioni come la presente, se non sono chiari i principi, oggettivi e razionali, ogni tipo di posizione che verrà presa, sarà sicuramente da far risalire alla ‘pancia’, più che alla ragione. Però, in questo caso, non sarebbe più una ‘norma giuridica’, in quanto essa o scaturisce dalla ragione oppure non è tale (cfr. San Tommaso, Somma Teologica, I-I, q. 90, a. 4; I-II, q. 95, a. 2.).
Mi limito qui, a ricordare questi principi direttivi, dopo aver formulato però alcune doverose premesse (limitandomi al Magistero della Chiesa cattolica che ovviamente ha come riferimento il depositum fidei), lasciando all’intelligenza ed al buon senso del lettore l’approfondimento per giungere solo successivamente a conclusioni oggettive, vere e quindi giuste (prima documentarsi/studiare, dopo ragionare e solo alla fine scrivere e parlare).
Doverose premesse:
A) Riguardo all’essere ed all’agire delle Comunità politiche. Ogni comunità politica esiste in funzione di quel bene comune che solo permette la realizzazione piena dei singoli consociati. “Ma nella comunità politica si riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che legittimamente possono indirizzarsi verso decisioni diverse. Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la propria opinione, è necessaria un’autorità capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità” (Gaudium et spes, n. 74).
B) Riguardo ai rapporti tra Chiesa e Comunità politiche. “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana. La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna” (Gaudium et spes, n. 76).
C) Riguardo ai limiti della libertà religiosa. “Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana; di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme. Nell’esercizio di ogni libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità. […] La libertà religiosa, quindi, deve pure essere ordinata e contribuire a che gli esseri umani adempiano con maggiore responsabilità i loro doveri nella vita sociale” (Dignitatis humanae, n. 7; 8).
Principi direttivi
1. La fede, il credo, la ‘religiosità’ è un atto intellettuale e personale. In quanto tale, nessuno Stato ha competenza e diritto a legiferare in materia di religione. Il credente in questo deve avere la coerenza di rifarsi a Dio ed alle competenti autorità della sua confessione. Per i cattolici hanno un significato evidente per il comportamento da avere le seguenti parole dell’Apostolo Pietro: “Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: ‘Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini’” (At, 5, 29).
2. Pur essendo la religiosità di una persona un diritto naturale personalissimo, e per questo inviolabile, esso ha delle manifestazioni esterne, socialmente rilevanti per il bene o meno di una determinata comunità. La manifestazione della propria religiosità può creare situazioni che mettono in pericolo gli altri consociati o valori sovraordinati, come i diritti naturali.
3. L’ambito proprio della giustizia umana è quella delle azioni esterne, socialmente rilevanti (cfr. San Tommaso, Somma Teologica, II-II, q. 58, a. 8). Lo Stato che ha la responsabilità del bene comune, ha quindi principalmente il dovere, di fare di tutto per il suo conseguimento. Promuovendo tutto ciò che lo favorisce e proibendo e sanzionando tutto ciò che lo impedisce o lo mette in pericolo. In questo contesto, quello che tecnicamente è compreso come tutela dell’‘ordine pubblico’, rientra pienamente tra i doveri delle autorità competenti di uno Stato.
4. Nell’agire umano bisogna distinguere le situazioni di così detta normalità da quelle eccezionali o di emergenza. Di conseguenza, ciascuna di dette situazioni deve essere regolata in modo proprio e proporzionato. In concreto questo significa che è impensabile poter gestire con quanto era previsto per le situazioni ordinarie, una situazione che si distingue per il carattere di eccezionalità. Questo vale per le autorità civili e per quelle religiose. Ovviamente una normativa ‘speciale’ per questi momenti, deve cessare nel momento in cui viene meno la causa o motivi che l’hanno richiesta.
5. Quindi lo Stato non ha nessun diritto d’intervenire in materia di fede, ma data la rilevanza sociale degli atti di fede esterni, può, anzi ha il dovere, d’intervenire per disciplinare le manifestazioni esterne della libertà religiosa. In situazioni di normalità dando quel minimo di norme che ne tutelano il corretto esercizio, in casi eccezionali e di emergenza anche nel limitare in modo responsabile e razionale (non arbitrario), le sue diverse manifestazioni. L’arbitrarietà si evita seguendo da una parte il principio di legalità e dall’altra, date le caratteristiche dell’attuale pandemia, facendo riferimento ai dati riferiti dagli scienziati dei vari Istituti Superiori di Sanità. Quindi la decisione ultima spetta al politico, ma questa decisione non può essere frutto di una posizione ideologica od emozionale, quasi in contrapposizione con quella degli scienziati, cioè coloro che non sarebbero altro che gli esperti, i ‘tecnici’ (cfr. M. Weber).
Ovviamente questi tipi d’interventi, tramite normative ‘speciali’, si applicano, solo ed esclusivamente, fino a quando perdura la situazione di eccezionalità. Con quanto fin qui semplicemente ricordato, credo che ognuno possa essere in grado di tirare le debite conclusioni. Solo dal rispetto dei ruoli di ciascuno e dall’equo contemperamento di diritti-doveri di ognuno, si potranno evitare scissioni o conflitti prima di tutto nella persona stessa: allo stesso tempo cittadino e fedele. Tutto questo, come sempre, presuppone onestà d’intenti, l’esercizio della virtù cardinale della prudenza e ‘sacchi di buon senso’ da parte di tutti, nessuno escluso. Con la speranza che la riflessione su queste verità, aiutino tutti a recuperare la responsabilità dell’essere cattolico nel mondo, ma non del mondo (cfr. Gv 17, 14; 17; Lettera a Diogneto, V-VI), formulo anche il mio augurio affinché questa Vigilia così speciale, possa essere vissuta fissando lo sguardo sulle cose essenziali (cfr. Col 3, 1-2), per poter celebrare consapevolmente la Pasqua di Cristo, che vincendo il peccato e la morte ci conferma che il male e la sofferenza non avranno mai l’ultima parola, mai più!
Sabato Santo, Angelicum, Roma 11 aprile 2020