In questa sede, magari a più riprese, si cercherà in modo il più possibile sereno di analizzare una situazione ormai palese almeno per gli osservatori più attenti (che ne parlano chiaramente ma solo di soppiatto e mai pubblicamente): a Reggio ormai da diversi anni non esiste nessun dibattito politico vero (e di conseguenza nessun dibattito culturale) perché nessuno ha mai fatto opposizione credibile ad un potere che si procrastina e si rigenera indisturbato o quasi da poco meno di 70 anni. Nel bene e nel male. In più, l’uso frequente (a volte smodato) dei social-network in crescente voga tra le nuove generazioni soprattutto dei neo-alfabetizzati sociali e giovani generazioni di amministratori (evidentemente non ancora abituati a confronti aperti di persona o mediati da un “arbitro” per esempio sugli organi di informazione tradizionali) ha completamente soppiantato il desiderio o la necessità di interloquire di volta in volta con l’avversario o col cittadino.
Ecco perché le occasioni rappresentate da manifestazioni come FestaReggio, in questi tempi di penuria assoluta di discussioni degne di questo nome (per non parlare di polemiche, viste da chi governa non come strumento di crescita e come tali vissute con orrore impreparato), dovrebbero cercare di rimediare a questo gap. Dovrebbero, se naturalmente fosse questo uno degli intendimenti di chi organizza e non la semplice compiacente autocelebrazione. Un esempio concreto è stato recentemente rappresentato dal vagito facebook di alcuni freschi esponenti Pd del consiglio comunale. Che all’indomani della presentazione del cartellone degli spettacoli avevano tuonato (sarebbe più appropriato dire, anche per la potenza di fuoco vocale “cinguettato”) contro la “decadenza culturale” di quella che avrebbe dovuto essere soprattutto la loro kermesse. Una polemichina in rete cui non ha fatto seguito null’altro (com’è ancora spesso l’esito dei confronti “virtuali”). Morale? Arisa rappresenta ad oggi, visto anche il tam tam pubblicitario, l’emblema del meeting al Campovolo. E rischia di restare tale a meno che (e lo si spera tutti) le prossime serate non vivranno improvvisi colpi di scena.
La mancanza di minoranze politiche preparate e credibili ha però nuociuto in massima parte anche sulla formazione (in primo luogo caratteriale) di chi si è proposto ad amministrare in nome della maggioranza (oggi relativa). Sui contenuti dei programmi e la capacità degli uomini di rappresentare tutta la Civitas, non solo la parte amica e “votante”. Il fino ad oggi inutile (ai fini di un ribaltamento partitico) proliferare di liste più o meno civiche è il prodotto del duplice problema dell’assenza di interlocutori di minoranze credibili e di un rinnovamento (almeno nel modus operandi) di chi in questi decenni si è passato il testimone della consiliatura. Ma chi ha i numeri, in fin dei conti ha sempre ragione. Soprattutto se dall’altra parte regnano taffazismo, brancaleonismo (come ebbe a chiamare Castagnetti la possibile alleanza coi radicali) e individualismi di sorta. In una parola Opposissione, cioè un’opposizione da fare compassione. Alla prossima.