Parce sepulto: il caso del dopoguerra reggiano

don pessina
Lo scorso week-end si sono tenute nel correggese commemorazioni dell’omicidio di don Umberto Pessina

don pessinaAnche lo scrivente s’è arreso, si deve ammettere, alla locuzione virgiliana “parce sepulto”, e ancor di più alla frase attribuita a Gesù da almeno due evangelisti: “lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”. Negli ultimi anni infatti da più parti (che non significa necessariamente da molte) si è chiesto conto all’ex polemista (molto modestamente sempre chi scrive) della seccata verve sul fronte del dopoguerra reggiano. Nello specifico sul mancato svelamento partigiano del luogo di seppellimento di diverse persone, tra cui un congruo numero di vittime innocenti, fatte sparire nei terribili (non meno che esaltanti) mesi precedenti e susseguenti la Liberazione. Travolte dal clima di guerra civile e vendetta per certi versi inevitabile, dall’altro però ammazzate nell’ottica comunista di chi voleva andare oltre la cacciata dei nazifascisti. E qui ci fermiamo.

Atto necessario non tanto lungo l’improbabile percorso della “memoria condivisa”, categoria storiografica decisamente datata, ma almeno sulla strada della necessaria rappacificazione sociale, “necessaria” in una terra caratterizzata da ataviche divisioni culturali e appartenenze a chiese che hanno impedito per certi versi uno sviluppo democratico nell’alternanza naturale degli schieramenti. C’è stato un tempo in cui, e parliamo della prima infornata di amministratori cattolici (a partire dal sindaco Delrio) nei primi anni del XXI secolo, sempre lo scrivente riteneva fortemente possibile la soluzione del problema. Che attenzione non si limitava soltanto ad una visione di Pietas cristiana di fronte allo scempio di resti umani straziati e senza pace perché senza terra riconoscibile dai propri cari. Ma si allargava sul fronte della presunta superiorità morale della sinistra (in questo caso del centrosinistra) capace dunque di riconoscere gli errori dei padri lungo il difficile e sanguinoso percorso della libertà. E ancor più alla ricerca della sostanziazione dei “miti” fondativi la nostra identità territoriale, dal Risorgimento alla Socialdemocrazia passando appunto per la Resistenza, liberando quest’ultima dalle ancor troppo lunghe e gravanti zone grigie.

Ultimo atto di una beata ingenuità dialettica che non non riusciva a capire come i delicatissimi equilibri del partito in continua trasformazione annoverante nello stesso consesso gli eredi del Pci e quelli della Dc, fossero già troppo in bilico nella gestione del presente (e anche qui ci fermiamo) rispetto al dovere morale di fare i conti con la propria storia recente e presentarsi così, come forza davvero nuova anche nei presupposti morali, davanti all’opinione pubblica. Ai cittadini, agli elettori. Quell’input non partì affatto dai veri o presunti epigoni dossettiani che ancor oggi hanno un peso considerevole, per certi versi imprescindibile, nei fatti di casa nostra. Anzi; l’appoggio almeno ufficioso era rivolto a chi molto più facilmente e fumosamente batteva la via romantica di una riconciliazione intimistica senza alcun atto di reale giustizia. Fondando il proprio credo culturale sulle ondate di ritorno New Age style (con annessa etica rigorosamente a posteriori) radicate nell’Oriente più o meno (propenderemmo per il “meno”) profondo. Realpolitik-Utopiapolitik= 1-0.

Ultimo atto appunto. Passata quell’irripetibile stagione, non tanto per i suoi contenuti esclusivi ma per la concomitanza non ripresentabile di una serie di circostanze, ci pare sia definitivamente passato ad alta velocità il treno finale della scrostatura del mito da una parte, e del risarcimento civile e di giustizia dall’altro. Punto. Con questo consapevolezza, ci paiono oggi ancor più di ieri, criticabili di strumentalizzazione politica da parte di chi cerca visibilità elettiva e consensi nostalgici le commemorazioni che vadano oltre il sacrosanto pianto per il dolore dei vinti e le sofferenze non giustificabili.

Ad oltre 70 anni da quei fatti, l’eco dei pianti ed il rancore rimasti si spegneranno inevitabilmente con l’estinzione biologica dei protagonisti di entrambe o tutte le parti, già compiuta per somma parte. Con essa, il ricordo nelle nuove generazioni di una pagina di storia straziante. Mai chiusa, più semplicemente strappata per mancata volontà.

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