Il fronte demografico come ben noto influenza la crescita economica, la sostenibilità del debito pubblico e del welfare, nonchè la struttura produttiva, per menzionare solo alcuni elementi del problema.
In Italia la disuguaglianza tra le diverse fasce d’età è troppo alta, abbiamo una popolazione mediamente di over 65 tra le più alte nel mondo, il 23% circa del totale, non in grado di assicurare il ricambio delle generazioni, allo stesso tempo un allungamento della vita media oltre gli ottant’anni, le due cose insieme costituiscono un mix catastrofico sulla struttura della popolazione in cui è sempre più preponderante il peso delle persone anziane rispetto ai giovani. La situazione impone scelte decise e immediate atte a riequilibrare lo squilibrio accumulatosi, però , negli ultimi 30-40 anni. Da allora il numero medio dei figli per donna è sceso sotto 1,3 e siamo stati il primo paese al mondo in cui gli over 65 hanno superato gli under 15 e dove secondo le ultime visioni Istat i primi sono destinati a diventare il triplo dei secondi!
A causa di problemi noti quali la difficoltà ad avere un’autonomia economica per i giovani, la carenza di strumenti che facciano conciliare famiglia e lavoro, oltre il rischio concreto di povertà a cui si espone un nucleo famigliare che voglia andare oltre al secondo figlio, l’Italia presenta un grande divario, rispetto anche alla media europea, tra numero di figli desiderato e poi realizzato. In tutto questo l’emergenza covid ha peggiorato le condizioni.
Prendiamo l’esperienza del paese più virtuoso in Europa sul fronte demografico: in Francia si è premiata la scelta di fare figli in termini di politiche concrete per la famiglia e con 1,86 figli per donna, la Francia ha oggi superato nettamente la media UE di 1,53 e ancora di più quella italiana, ferma a 1,25. Insomma una questione di scelte politiche e di fiducia che concentra le forze sulla conciliazione famiglia lavoro, sulla lotta alla povertà familiare, con un sostegno in soldi e con servizi di educazione e cura per le famiglie con bambini piccoli per cui si investe in asili nido e strutture, anche aziendali, nella possibilità di avere un part time nei primi anni di vita dei figli. Dove lo stato integra la perdita di salario del lavoro: insomma un sistema più generoso anche attraverso una specifica politica fiscale, una specie di “patto di lunga durata” per il futuro del Paese. In Italia questo patto non c’è.
E così i dati che si riferiscano al 2022 dicono che abbiamo meno di 400.000 nati e quasi più di 700.000 decessi, cioè circa due morti per una nascita, ed è evidente che si tratta di un “gelo demografico” che inchioda il nostro futuro, sul quale anche Papa Francesco ha preso posizione.
Il costo sulla nostra economia della carenza cronica di manodopera sta diventando in Italia esorbitante, 15 miliardi, secondo lo studio condotto da Bcg, difficoltà di reperimento confermata anche negli ultimi dati Unioncamere Anpal,: in gennaio le imprese sono alla ricerca di centinaia di migliaia di lavoratori. Su di quanta manodopera abbiamo esattamente bisogno c’è in atto un balletto di numeri in cui nei giorni scorsi il ministro dell’agricoltura Lollobrigida ha confermato la necessità di 500.000 ingressi regolari in due anni, poi corretto dal Ministro degli Interni Piantedosi verso un numero più esiguo. Alcuni dati sono forse chiari per comprendere la situazione e provengono come sempre dalle associazioni di categoria le quali raccolgono questa “fame di lavoro” qualificato: Coldiretti attraverso il suo responsabile Magrini ha parlato di 100.000 lavoratori che non si riescano a trovare, sottolineando che non servono necessariamente stranieri ma che di fatto italiani non ce ne sono, Confesercenti Assoturismo ha fatto il contro coro parlando di una carenza di 50.000 unità necessaria a gestire i picchi di lavoro. Inoltre c’è la filiera ferroviaria di RFI che per l’esecuzione delle opere richiede alcune migliaia di lavoratori in più profili molto qualificati bisognosi cioè di periodi lunghi di formazione.
Anche la posizione di Bankitalia è del resto molto chiara circa la necessità di ben 375.000 nuovi posti di lavoro per una effettiva messa a terra delle opere previste dal PNRR, dove quelle ferroviarie impegnano moltissime risorse, ma dai vari cantieri, anche del comparto delle costruzioni, emerge una mancanza di ben 150.000 addetti, come conferma il sindacato Fillea Cgil.
Insomma sull “inverno demografico”, come è stato definito, di un paese in cui 9 milioni di persone hanno necessità di assistenza domiciliare, ma dove mancano 30 mila badanti e 3 mila infermieri nelle Rsa, occorre riflettere agendo subito.
Un paese in cui il ritmo di ricambio del personale nelle imprese è quasi raddoppiato perché è mutata anche la cultura del lavoro, in cui ci vogliono mesi per trovare chi assumere, e dove verranno a mancare 50 mila lavoratori ogni anno, tanto che la demografia sta diventando “l’ossessione” degli imprenditori. Occorre correre per invertire la tendenza, al di là di narrazioni superficiali e molto identitario-propagandistiche, con piani seri.
E’ una fame di lavoratori qualificati del resto denunciata da tempo dalle PMI piccole e medie imprese in tutta Italia, sempre secondo i dati Unioncamere-Anpal, nel 2022 emersero difficoltà a reperire oltre 1,4 milioni di lavoratori, pari a oltre il 40 per cento delle assunzioni previste. Nel settore dell’artigianato la percentuale arriva al 50 per cento, mancano maestranze in tutte le filiere, metalmeccanici, tornitori, saldatori, ricamatrici, cesellatori, orafi.. una emergenza quantitativa e qualitativa che può mettere seriamente a rischio estinzione l’eccellenza del made in Italy nel mondo.
Insomma un paradosso nel quale nonostante quasi due milioni di dimissioni registrate nel 2022 e un popolo di 3 milioni di Neet, (dall’inglese, Not engaged in Education, Employment or Training) ovvero quei giovani tra i 15 e i 35 anni che non studiano o lavorano e quasi 900 mila giovani nella stessa fascia di età disoccupati a dicembre 2022 quello che sembrerebbe mancare sono proprio i lavoratori, soprattutto i giovani, da Nord a Sud, anche in una Toscana dove Coldiretti diffonde dati sulla base dell’ultimo censimento Istat che confermano una regione nella quale la popolazione più giovane continua a diminuire.