A maggio 2014 si svolse il pellegrinaggio di Francesco in Terra Santa. Viaggio dove tutto è cominciato. Ebraismo. Islam e Cristianesimo condividono similitudini nel processo di sacralizzazione della Terra Santa. Talvolta le tre religioni monoteiste hanno tuttavia negato, in questi luoghi, i principi di reciproco rispetto. Le religioni in passato hanno innescato odio e violenza brutale. Tuttavia le colpe oggi non possono essere imputate solo alla religione. Bensì alla politica e all’integralismo; all’odio; alle colpe di pochi che ricadono sui popoli che vivono in quelle terre martoriate dai conflitti. Allora alto si elevò il richiamo di papa Francesco ad una ragionevolezza comune. Schierandosi apertamente e ostinatamente dalla parte della pace e del dialogo. Non mancando di ripeterlo durante la sua permanenza in Giordania, Palestina e Israele. Ecco, alcuni stralci dal nostro diario di quei giorni.
«25 maggio 2014. A Betlemme è una mattina assolata. Il Papa sale sulla vettura per percorrere i 2 km che lo dividono dalla piazza della Mangiatoia dove è atteso per la Messa. Guarda l’orologio. Nell’incontro appena terminato con Abu Mazen non ha citato il muro. Non c’è bisogno. E lo si capisce quando la vettura si blocca d’improvviso. Francesco scende e si dirige verso il simbolo della separazione dei popoli. Siamo nella parte della barriera che cinge la Tomba di Rachele. Nella torretta c’è un soldato israeliano che osserva l’evento. La folla dei giovani corre verso il Pontefice. Lui è vicino al blocco di cemento. Lo guarda. Lo tocca con la mano destra. Appoggia la testa. Prega. Fa il segno della croce. Accanto a lui alcuni bambini con la bandiera palestinese. Sul muro la scritta rossa Free Palestine. Il messaggio è chiaro vale più di mille parole.
Il Papa con sguardo cupo risale a bordo. Poche ore dopo a Gerusalemme. È sera. Le campane annunciano il Patriarca di Costantinopoli. Suonano per il Papa. Ma loro non arrivano. È stato un disguido del campanaro. Altra attesa. Finalmente. Eccoli. Sono le 20.03. Francesco e Bartolomeo hanno fatto due strade diverse. Il primo entra dalla porta Muristan, l’altro dall’opposta quella di Sant’Elena. Bartolomeo è in leggero anticipo su Francesco. Si incontrano e si baciano. Si aiutano a vicenda a scendere le scale, il Papa commenta “si scivola”. Sorreggendosi entrano nel Santo Sepolcro. Si fermano pochi passi dopo la porta d’ingresso. Si inginocchiano davanti alla pietra dell’unzione. Ritenuta il luogo della preparazione della sepoltura di Cristo, pietra macchiata dal suo sangue. È la XIII stazione della Via Crucis. I candelieri sopra la pietra sono accesi, creano un effetto luminoso avvolgente.
Francesco bacia la pietra. Si toglie la papalina. Prega. Al suo fianco Bartolomeo. Il Pontefice fatica a rialzarsi, è aiutato. Procedono verso l’edicola, trovano posto a sedere sul palco allestito all’ingresso. Inizia la preghiera. Il Patriarca indica al Papa il punto esatto del passo liturgico. Il Patriarca ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III. Annuncia: “Cristo è risorto.” Si prega in greco. Francesco bacia il Vangelo ortodosso. Canta Alleluia. Si prega in Latino. Il Patriarca bacia il Vangelo della Romana Chiesa. Siamo di fronte alla storia. Papa Francesco stringe la mano calorosamente al Patriarca. Quest’ultimo restituisce il gesto e bacia il capo al Pontefice.
Francesco con voce stanca e commossa prende la parola: “Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza!”. Insieme entrano nella Tomba vuota. Si tolgono i copricapi. Genuflessi uno accanto all’altro pregano. Due candele accese dalla stessa fiamma. Pochi attimi all’interno dell’edicola. I presenti applaudono mentre il Papa e il Patriarca Bartolomeo si allontanano. Salgono sul Monte Calvario, le scale ripide. Il Papa è sorretto. Giungono nel punto dove, secondo la tradizione, venne issata la croce. Accendono candele. Si lavano le mani dalla stessa acqua. Un coro greco in sottofondo li accompagna. Escono. Sono arrivati da direzioni diverse, insieme lasciano il Santo Sepolcro. Un soldato israeliano si inginocchia e bacia l’anello del Papa…
Il 26 maggio. Il sole è già alto a Gerusalemme. Ultimo giorno di questo pellegrinaggio. Pochi minuti dopo le 8, ora locale, Francesco sorridente entra nella Spianata delle Moschee. Terzo luogo santo per l’Islam. Visita la moschea della Cupola della Roccia. Francesco prima di entrare si toglie le scarpe, secondo i dettami della religione musulmana che impone di entrare scalzi nella moschea. Quando esce per rimettersi le scarpe si siede su una seggiola. Alle 8.20 il saluto del Consiglio Musulmano. Il Mufti di Gerusalemme Mohammed Hussein ha toni accesi nel suo intervento. Critica la politica israeliana, rinnova la speranza di Gerusalemme capitale della Palestina, invoca diritti per il popolo palestinese, per cristiani e musulmani, e si appella al Pontefice. Viene offerto del caffè al Papa. Il Papa ascolta, a tradurre è padre Silvio, francescano.
Spianata e Muro del Pianto coesistono l’uno sopra l’altro. Nell’area che ospitò il magnifico Tempio israelita oggi sorge la Spianata. A memoria del grande luogo di culto solo un muro, alto, dai grandi blocchi di pietra biancastra. Gli ebrei in quel luogo pregano da duemila anni. Per l’ebraismo è luogo della massima spiritualità, per la presenza di Dio, da dove il Signore ascolta le parole del suo popolo. Diviso in due parti per la preghiera di uomini e donne, che solo da pochi mesi hanno la possibilità di pregare ad alta voce, senza promiscuità dei sessi, a qualche decina di metri di distanza dal Mugrhrabi Bridge, la passerella in legno che conduce sino alla Spianata delle Moschee.
Francesco arriva nella piazza prospiciente il sito ebraico, dove sorgeva un quartiere arabo raso al suolo durante la Guerra dei Sei giorni. Francesco scende dalla vettura blindata messa a disposizione dal Presidente Peres. Il Rabbino preposto al “Muro Occidentale” Shmuel Rabinovitch va incontro al Papa e lo accompagna in prossimità del Muro. Legge un capitolo tratto dal Cantico dei Cantici o Canto di Salomone. È il Kodesh Kodashim, il libro santo tra i santi, che include metaforicamente tutta la Torah. È consuetudine ebraica invocarlo nei giorni della Pasqua. Il Padre Custode traduce l’ebraico nell’orecchio del Pontefice. Papa Francesco sosta in preghiera silenziosa per qualche minuto. Ecco la mano destra a toccare la pietra del Muro. La testa è inclinata. Francesco apre la busta bianca, legge interiormente un’ultima volta il foglio con la preghiera del Padre Nostro in spagnolo, scritta personalmente. Ripone la busta nella fessura tra le pietre. Si avvicinano a lui i suoi compagni di viaggio ed amici, il Rabbino Abraham Skorka e il Mufti Omar Abboud. I tre si abbracciano insieme».
Poche settimane dopo, la sera di domenica 8 giugno ebbe luogo, presso i giardini vaticani, lo storico incontro di preghiera per la pace tra Israeliani e Palestinesi, fortemente voluto da Francesco, con il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e il presidente israeliano Shimon Peres. L’incontro vide inoltre la partecipazione del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e dell’allora custode di Terra Santa, oggi Patriarca, cardinale Pierbattista Pizzaballa.
Il 20 aprile 2025 nell’occasione del messaggio pasquale Urbi et Orbi il pontefice ha posto l’accento sulla preoccupante crescita del clima antisemita nel mondo. E rinnovato il suo appello, letto da monsignor Ravelli, per il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e per prestare aiuto alla gente, che a Gaza vive in una “drammatica e ignobile situazione umanitaria”. Sono state le sue ultime parole contro la guerra.
Alfredo De Girolamo Enrico Catassi