Prato – Prato si è stretta nel ricordo di Paolo Rossi, il calciatore simbolo del mondiale 1982, con una messa oggi pomeriggio in Duomo per l’arrivo in città delle sue ceneri, celebrata in forma solenne dal vescovo Giovanni Nerbini, – un figlio di questa terra diventato famoso,ma rimasto semplice ed umile”.
Presenti il Sindaco Matteo Biffoni che lo ha ricordato come “Paolo di tutti” e il Presidente della Provincia di Prato, insieme a tanti cittadini fuori e dentro la Chiesa nel rispetto delle norme anticovid. È stata una volontà espressa dalla moglie, la giornalista Federica Cappelletti, per rinsaldare il legame alla città che ha dato i natali al giocatore e che giovanissimo lo ha visto muovere i primi passi nel campetto della Scuola Calcio Coiano Santa Lucia che porta il nome di suo padre Vittorio, giocatore di calcio anche lui.
Paolo Rossi si rivelò ad appena 20 anni conquistando il titolo di capocannoniere in serie B con il Vicenza. Promosso in A si ripeté risultando il miglior marcatore del campionato e meritando la convocazione in Nazionale da parte del ct Bearzot, che lo schierò titolare ai mondiali di Argentina, dove segnò tre gol e contribuì al quarto posto raggiunto dall’Italia.
Passato al Perugia, restò coinvolto nel calcioscommesse e venne fermato per due anni dalla giustizia sportiva. Fece in tempo a tornare in campo con la Juventus, che intanto lo aveva acquistato, per essere convocato per i mondiali del 1982. Rossi non segnò nelle prime quattro partite, ma alla quinta contro il Brasile, mise a segno tre reti firmando la vittoria degli azzurri. Rossi segnerà due gol in semifinale con la Polonia e uno nella gara decisiva con la Germania, che valse all’Italia il titolo mondiale. Nel 1982 gli fu assegnato il Pallone d’oro, secondo italiano dopo Gianni Rivera. Dalla Juventus passò al Milan poi al Verona, dove chiuse la carriera a 31 anni.
A Prato i goal di Rossi dell’82 furono vissuti con un’euforia senza pari come testimoniano i giornali e le trasmissioni sportive dell’epoca, riproposte e commentate in occasione della sua morte, avvenuta ai primi di dicembre. Celebre l’intervista in cui Rossi, venendo a raccogliere l’abbraccio di Prato dopo il mondiale, affermò che un pezzo della Coppa del mondo rimaneva a Prato, augurandosi che dopo di lui sarebbe toccato ad altri giovani mantenere alto il nome della città a livello calcistico.Tornò nella sua Prato in altre occasioni e a trent’anni dalla vittoria del Mondiale di Spagna per la presentazione del libro che da ex centravanti della Nazionale scrisse con la moglie Federica Cappelletti, “1982. Il mio mitico mondiale”.
Un racconto autobiografico dei giorni dell’avventura a Vigo, Barcellona e Madrid, ma anche delle prime partite con gli amici a Santa Lucia; l’avvio della carriera con la Cattolica Virtus, poi l’Ambrosiana e con la Juventus,nonché la commozione dei genitori Vittorio e Amelia per i pratesi in festa sotto la loro abitazione per i suoi goal vincenti contro il Brasile.
La notizia della morte di Paolo Rossi ha colto, tutti di sorpresa, (anche perché a distanza di poche settimane dalla scomparsa di un altro campione mondiale Diego Maradona), e il Sindaco Biffoni si è subito mostrato disponibile ad onorarne la memoria (in accordo con la famiglia), intitolandogli ad esempio lo Stadio cittadino, “purché rimesso a nuovo”, o ad allestire una mostra permanente.
Perché se Paolo Rossi fu l’artefice dell’Italia del pallone sul tetto del mondo, realizzando così quella mai sopita aspirazione nazional popolare di vincere un Mondiale, fu anche colui che riuscì ad esportare l’immagine positiva e vincente di una città operosa come era Prato negli anni ’80, in cui tutto era possibile: “una macchina avveratrice di sogni”. E in quel lontano 11 luglio 1982 il pratese Paolo Rossi, consacrato quattro anni prima “Pablitonazionale”, entró a pieno titolo nella leggenda dello sport mondiale. Uscito di scena troppo presto in questo maledettissimo 2020, ci lascia in eredità il suo modo di giocare a calcio che ha fatto sognare: guizzo, istinto, scatto, volontà o come lui stesso disse “Era una mia qualità, una mia forza, quella di giocare senza pallone, di non aspettare”.
In foto la moglie Federica Cappeletti che depone l’urna contenenti le ceneri di Paolo