Paolo Fabrizio Iacuzzi: eredità letteraria, fecondazione creativa

il suo ultimo libro Folla delle vene presentato a Castiglione della Pescaia

Ho avuto il piacere di scorrere con Iacuzzi il tempo. Una intera giornata. E il paesaggio fiorentino, senese e maremmano, intrecciato a pensieri, idee sulla poesia, in specie il suo ultimo libro Folla delle vene, che abbiamo presentato insieme a Castiglione della Pescaia – dimora eterna di Italo Calvino e Carlo Fruttero- il 5 settembre scorso all’interno della rassegna Il salotto di Italo Calvino organizzata per tutta una settimana dal Comune, a cui I nostri sentiti ringraziamenti. Il pubblico attento e rapito dalle capacità oratorie dell’autore che ha al suo attivo varie pubblicazioni di poesia oltre ad essere: scrittore, saggista e traduttore. Leggere Iacuzzi infatti è un’esperienza di spessore culturale. Non solo per la densità leggera della sua scrittura e dei contenuti che offre con immediatezza, ma allo stesso tempo per profondità umana. L’esatta percezione è che la sua materia poetica costruisca intorno al lettore un mondo di continui incroci tra le vene poetiche che lui propone. Nell’ascoltatore si addensano in folla, coscienza, espressività, emozione e la vocazione che l’autore delega all’animo, alla spiritualità, all’impegno umano e civile. Troviamo ascendenze e discendenze che trasformano la lettura in un discorso poetico un viaggio attraverso tutta la poesia italiana, ma soprattutto un viaggio. Alcuni poeti partono da Marsiglia e arrivano a Pistoia per incontrarne altri e tradursi a vicenda. Un secondo viaggio dei poeti in Vaucluse fino al Mont Ventoux sulle orme di Petrarca e Marco Pantani. Questo il fil rouge di Folla delle vene la cui sostanza poetica è la linea che l’autore traccia, una linea di essenzialità, di eleganza prospettica, è l’orizzonte scenico teatrale sul quale la struttura del libro ci appare come un libretto d’opera. Iacuzzi pone personaggi su questa scena e li attraversa con la luce dei suoi riflettori verbali.

A cosa avrà creduto nella salita Marco?/ In sella a quella sua bicicletta high-tech./

….Avrà sfidato l’orizzonte con lo sguardo perso. / E la gloria si sarà avvicinata piano piano. /Pant pant…../ Si concede l’ultima possibilità estrema / indugiando davanti a quella fiamma viva / Piegato di lato non può rialzarsi in sella./ Girato di tre quarti sul triclino vede già/ la polvere negli occhi. Vede già che non /c’è posto per nessun altro uomo sul letto. / Tira le coperte e tira il lenzuolo sugli occhi. /Scopre il viso se la madre ora lo rincalza.”

Ci aiuta a capire la forza poetica della lirica di Iacuzzi il suo grande senso pittorico: “LA VITA A QUADRI n. 5 – rosa”, sottotitolo del libro. L’autore opera una ricerca severa, fedele e attenta a cui si costringe in un rigore tonale. Ogni suo libro infatti oltre ad essere tematico è insieme cromatico. Le gelatine che Iacuzzi pone sui suoi riflettori teatrali presentano in ogni libro una dominante diversa.  In Folla delle vene è il rosa, nei precedenti Magnificat (1996) aveva il bianco, il blu di Jacquerie (2000), il giallo di Parricidio (2005), il rosso di Il Rosso degli affetti (2009). Per l’autore significa condurre il lettore nei vari piani dialettici in cui pone le sue voci, le voci dei suoi attori personaggi.  Iacuzzi attinge la centralità drammatica del soggetto parlante da uno dei due Dioscuri che dichiara di avere nella propria eredità letteraria, Mario Luzi. Altri tratti poetici che costantemente vivono nel verso di Iacuzzi, come la trama di percorsi memoriali e di nessi analogici, provengono dalla ricerca del secondo Dioscuro, Bigongiari, di cui Iacuzzi è un singolare esegeta: “Noi che abbiamo avuto due madri e nessun padre./ Con i capelli d’argento a Firenze mentre pian piano/ saremo le forme di Mario e di Piero. Maestri uno/ all’altro. Dioscuri o solo gemelli. Ora si disfano qui/ le genealogie. E le altre geniture accadono. Alte.”

I poeti della Firenze che hanno influenzato soggetti privilegiati, ancora oggi portatori sani dell’esperienza dei giovani del ’14, Mario Luzi, Piero Bigongiari  e Alessandro Parronchi a cui  tangente si pone Alfonso Gatto. Ma forti sono gli echi sentiti dai vari critici che in Iacuzzi scorgono le sensibilità artistiche di Pasolini, di Testori, di Giudici, ai quali aggiungerei gli sguardi dolci e laceranti di Penna verso i personaggi. Ma mentre il desiderio di Penna è negato e conflittuale, Iacuzzi trova quiete alle proprie pulsioni per condizioni biografiche certamente distinte. Innegabile la ricchezza di voci, di piani dialettici in ogni componimento che diventano, oltre ai personaggi, sezioni dei poemi, didascalie, architetture strutturali del libro in cui complessità e immediatezza premiano e alimentano la gioia della lettura.              

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