Pisa – “I quartieri di Gerusalemme dove risiedono ebrei saranno sempre parte dello Stato d’Israele” con queste parole il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha stigmatizzato le critiche internazionali all’approvazione di nuovi insediamenti oltre la Linea Verde e di fatto ha concluso l’incontro con il capo della diplomazia europea Federica Mogherini. Il Primo Ministro israeliano non è andato per il sottile con Lady Pesc, peraltro alla sua prima uscita internazionale, bollando come “irresponsabili” i politici dell’Unione che propongono il riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese: “Gerusalemme è la nostra capitale e non un insediamento …. la vera questione non è il confine ma il diritto d’Israele ad esistere”.
L’ex Ministro degli Esteri italiano ha incassato la netta posizione israeliana ribadendo il dissenso nei confronti della costruzione di nuovi insediamenti e tentando di rilanciare un ruolo centrale per l’Europa nel processo di pace: “C’è il bisogno di un approccio regionale al conflitto israelo-palestinese e l’UE è pronta a contribuire in questa direzione con tutti i partner del Medio Oriente”. Che il viaggio della Mogherini fosse nato sotto una cattiva stella era cosa nota, i rapporti tra l’Unione e Israele sono in una fase particolarmente sensibile già da mesi. Il Ministro degli Esteri israeliano Liberman in questi giorni non si era risparmiato negli affondi: “L’Europa ignora la nostra realtà. Non c’è giorno che l’Europa annunci nuove pressioni nei nostri confronti. È un errore. È una ipocrisia. E alla fine del giorno si dimostra essere controproducente.” Ma anche in questo caso la risposta della Mogherini deve essere sembrata uno schiaffo alla politica del governo di Netanyahu: “Voglio vedere riconosciuto uno Stato palestinese prima della fine del mio mandato.” Purtroppo l’escalation di violenza in corso in queste ore non agevola le cose e complica notevolmente il lavoro della Commissione Europea. Tensioni in Galilea e lungo il confine della Striscia di Gaza.
Il cuore degli scontri è Gerusalemme, nella città santa per antonomasia violenza e dispute sono in corso da giorni. Lacrimogeni. Lancio di molotov e pietre. Attacchi terroristici di Hamas con auto lanciate contro i pedoni israeliani. Polizia che spara. Giovani palestinesi da un lato ed esercito con la stella di Davide dall’altro a contrapporsi. Interi quartieri di Gerusalemme est, la zona occupata dal 1967, in rivolta: Abu Tor, Sheik Jarrah, Shuafat e la città vecchia i centri della protesta. Lo scontro oltre ad essere per ovvie ragioni politico è, e resta, fondamentalmente religioso. Ad innescare una nuova escalation di confronto lo status quo dei luoghi sacri.
Uno in particolar modo: la Spianata delle Moschee. Il luogo dove secondo la tradizione islamica Maometto sarebbe asceso al cielo e che sorge proprio sulle rovine di quello che è stato il principale simbolo dell’ebraismo: il grande tempio di Salomone, in ebraico anche definito Beit A-donai la casa di Dio. Dell’imponente struttura oggi non resta che un parziale segno, ovvero il Muro del Pianto, situato sul lato Ovest delle mura perimetrali. È una piccola parte del muro originale, diventata a partire dai primi del ‘900 luogo di culto e venerazione degli ebrei. È aperto al pubblico, 24 ore su 24, è diviso tra uomini e donne, chiunque può avvicinarsi e toccarlo, pregarvi, con l’accortezza di avere la testa coperta, il copricapo solitamente adoperato per entrare nel recinto prospiciente il muro è la kippah.
Differente la condizione della spianata dove sorge la Moschea di Al-aqsa e che “giuridicamente” è sotto il controllo della famiglia reale Hussein. Di fatto l’accesso alla spianata è controllato dalla polizia israeliana, che a discrezione lascia entrare i fedeli. Negli accordi di pace del 1994 era chiaramente evidenziata la possibilità di garantire la visita da parte di turisti cristiani ed ebrei a tale sito. Ma la possibilità di pregarvi è esclusivamente per i musulmani. Il divieto però spesso non è stato rispettato dagli ortodossi ebrei, i quali sono soliti, durante talune ricorrenze, recarsi a pregare nella spianata. La rabbia palestinese era già esplosa in passato, tutti ricorderanno il 28 settembre del 2000 quando il leader della destra Ariel Sharon vi compì una provocatoria passeggiata. Quel gesto innescò la seconda Intifada con la sua drammatica scia di sangue. Ed ecco di nuovo ai giorni nostri tornare il terzo luogo sacro dell’Islam causa scatenante del conflitto israelo-palestinese.
Intanto, sul piano diplomatico il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il re di Giordania Abdullah hanno avuto una lunga telefonata dai toni accesi, anche se oggetto della chiamata era proprio il richiamo alla calma tra le parti. La fine delle violenze e lo stop all’incitamento era formalmente la richiesta israeliana. Il rispetto dello status quo e nessuna repressione l’avvertimento a chiare lettere da parte del governo di Amman che, nelle stesse ore, ha fatto rientrare celermente il proprio delegato diplomatico in patria.
Un gesto di protesta, una situazione che dimostra come il livello di guardia sia stato già oltremodo attraversato e sempre di più si vada nella direzione di un nuovo aperto confronto tra mondo arabo e Israele. I palestinesi questa volta, tuttavia, non sono isolati come spesso accaduto in passato e sopratutto da Ramallah sono partiti appelli poco pacificanti con l’invito ai fratelli di Gerusalemme di continuare la protesta con “il giorno della Rabbia”. Intanto a Gerusalemme primi scricchioli nella compagine governativa. Se Avigdor Lieberman, non certo una colomba della pace, prende le distanze dagli esponenti e alleati di governo del Likud e del Bayit Yehudi che in questi giorni hanno visitato la spianata con l’intenzione di manifestare la voglia di imporvi la sovranità israeliana e di vedervi riconosciuto il diritto degli ebrei a pregarvi, c’è parecchio da riflettere.
Intervistato Liberman ha sottolineato come: “Il nostro vero problema sono le persone che incitano e urlano, infiammano gli animi per meri fini politici e propagandistici” e in conclusione ha lanciato un consiglio distensivo, un ammiccamento ai Paesi arabi moderati: “Io sono in favore di una politica intelligente, in questa regione del mondo dobbiamo agire in modo razionale.” Parole che non sono piaciute al collega e leader nazionalista Naftali Bennet, Ministro dell’Economia: “Un governo che non è in grado di essere deterrente e di imporre la propria sovranità non ha diritto di esistere.” La posizione di Bennet pare non essere così tanto minoritaria all’interno del governo di Netanyahu, anche se la trattativa per riportare la “calma” a Gerusalemme potrebbe avere dei risvolti inattesi: sono trapelate voci che in cambio della concessione della libertà per molti prigionieri palestinesi reclusi nelle carceri israeliane si chiederebbe di interrompere la rivolta.
C’è da dire che l’introduzione di una legge speciale che punisce fino a 20 anni di carcere chi lanci pietre non pare avere ottenuto l’effetto deterrente voluto dalla destra nazionalista. Tuttavia anche in casa palestinese i rapporti tra Hamas e Fatah non sono tutti rose e fiori. Gli attentati compiuti recentemente a Gaza contro esponenti del partito fondato da Arafat hanno aggravato le relazioni. Gli incidenti hanno riguardato le abitazioni e le vetture di una decina di leaders di Fatah nella Striscia, oggetto di atti vandalici anche il palco che avrebbe dovuto ospitare le celebrazioni in memoria del personaggio più influente della storia palestinese: Yasser Arafat, Mr Palestine. Il capo dell’ufficio politico di Hamas Moussa Abu Marzouq ha condannato l’accaduto e dichiarato che gli attacchi non sarebbero stati compiuti da membri della sua organizzazione. Foto: www.mfa.gov.it
Il governo di coalizione nazionale tentenna, il riconfermato Primo Ministro Rami Hamdallah protestando contro Hamas ha prontamente cancellato la visita prevista a Gaza per sabato, dove avrebbe dovuto accompagnare ufficialmente la Mogherini. L’incontro tra il politico palestinese e l’Alto Rappresentante si è svolto a Ramallah nel pomeriggio di venerdì. Fonti riportano che si è trattato di un incontro cordiale. La Mogherini comunque ha voluto mantenere fede all’agenda di viaggio recandosi nella Striscia di Gaza, dove l’Europa sarà impegnata nei prossimi mesi in consistenti aiuti umanitari e in progetti di ricostruzione dopo la devastante guerra di questa estate. E questo pare obiettivamente essere l’unico concreto risultato raggiunto dalla Mogherini per una missione impossibile in uno scenario alla vigilia della Terza Intifada. Enrico Catassi – Alfredo De Girolamo