Palestina e Israele: Papa Francesco e i due presidenti

Venerdì 13 Giugno alle 11.30 nella libreria San Paolo in piazza del Duomo a Firenze la presentazione alla stampa e al pubblico del libro Francesco in Terra Santa 24-26 maggio 2014.

Domenica 8 Giugno, nel tardo pomeriggio di una calda giornata romana, abbiamo assistito ad un evento unico, il presidente palestinese e quello israeliano si sono stretti la mano e insieme hanno pregato per la pace tra i loro popoli. E’ stato un momento importante che ha visto i rappresentanti spirituali delle tre religioni monoteiste d’Occidente: Ebraismo, Cristianesimo e Islam pregare insieme.

Lo storico incontro è stato fortemente voluto da Papa Francesco. Per giungere alle 19.00 di domenica, è stato determinante il pellegrinaggio che il Santo Padre ha svolto in Terra Santa dal 24 al 26 Maggio scorso. In tre giorni intensissimi Francesco ha tessuto le fila per la realizzazione di questa intensa circostanza. Con incontri privati, densi di problematiche politiche e diplomatiche, il Santo Padre ha trovato la strada percorribile, una possibilità tenue di rilanciare il processo di dialogo alla pace: la preghiera. È con l’invito alla preghiera congiunta che ha convinto i leaders ad incontrarsi. Dimostrando capacità geopolitiche inimmaginabili.

Sapientemente, Francesco, ha messo a disposizione un luogo neutro, il Vaticano, la sua casa. Coraggiosamente ha puntato su due esponenti politici di lungo corso, Peres e Abu Mazen, due colombe in un cielo di falchi quale quello del Medio Oriente. Due ex combattenti che però rivestirono un ruolo rilevante durante gli accordi di Oslo, consiglieri entrambi molto ascoltati degli allora Rabin e Arafat. Ma che oggi, agli occhi della rispettiva gente, non godono della notorietà e autorevolezza dei loro predecessori.

Da molti analisti Peres e Abu Mazen sono considerati in fase di declino, tramonto e l’opportunità offerta dal Pontefice ha permesso ai due ex nemici di lasciare il segno indelebile nella storia. Basti ricordare che a Luglio alla carica di Presidente d’Israele andrà ad insediarsi Reuven Rivlin, esponente di spicco della destra e noto per la sua posizione non conciliante con i palestinesi. Il dopo Abu Mazen è in agenda per gennaio 2015, quando in Palestina, Gaza e West Bank, dovrebbero svolgersi le elezioni, a cui parteciperà la fazione di Hamas, già vincitrice della passata tornata elettorale.

Troppe variabili in gioco che possono portare a scenari dall’esito oscuro, imprevedibile. Anche per queste ragioni Peres e Abu Mazen hanno prontamente accettato l’invito di Bergoglio. Nell’intenzione, non dichiarata ma evidente, di avere uno spazio di visibilità e comunicazione internazionale che gli consentisse di valorizzare a pieno titolo le loro credenziali nel futuro del processo di pace in Medio Oriente. Così hanno fatto vedere al mondo che palestinesi ed israeliani possono stringersi la mano e sedersi uno accanto all’altro.

Non è cosa di poco conto in questi giorni; non è una cosa scontata; non sempre il dialogo è compiuto credendoci veramente, spesso nasconde un doppio fine. Fatta eccezione, ovviamente, per associazioni come l’organizzazione che raccoglie famiglie palestinesi ed israeliane, persone coraggiose, che hanno perso un membro della loro famiglia a causa del conflitto israelo-palestinese: il Parents Circle Families Forum che promuove la riconciliazione e la tolleranza.

C’è da dire che dal punto di vista politico sarebbe stato sicuramente più importante vedere il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il leader palestinese Khaled Meshal dialogare amichevolmente e rispettosamente. Oggi senza prenderci in giro l’incontro tra l’esponente del Likud e quello di Hamas è irrealizzabile, la pace in Terra Santa è lontana.

Mancano le condizioni minime perchè possa essere solo ipotizzabile un disegno di pacificazione tra le parti. In questo contesto il gesto di Peres e Abu Mazen assume i connotati di un atto controcorrente, a peritura memoria e di critica morale agli estremismi. Per ora servirà a poco, ma domani potrebbe risultare significativo, un ancora di salvezza, per aprire un percorso concreto verso la pace stabile e duratura tra palestinesi ed israeliani.

Tutto ciò grazie all’abilità del Pontefice venuto da terre lontane, oltre l’Oceano, dall’Argentina. L’uomo considerato da molti il miglior politico al mondo è sicuramente comprovato essere il miglior diplomatico. Ebbene sì, dove la diplomazia internazionale ha fallito ripetutamente e catastroficamente lui, Francesco, ha raggiunto risultati importantissimi. Frutto di intelligenza, semplicità e onestà intellettuale.

Facciano il mea culpa oggi proprio quelle caste di ambasciatori “farisei” in doppio petto che affollano la Terra Santa, abili mercanti del tempio ma inutili a promuovere la pace e il dialogo tra i popoli. A loro la prima grande lezione di stile del Santo Padre. L’altro insegnamento è al Presidente Obama e al suo entourage, leziosi e ininfluenti, troppo lontani dalla realtà del contesto e dai cuori della gente. Speriamo, auguriamoci che abbiano imparato qualcosa dall’esempio di Papa Francesco. Comunque, torniamo a domenica, ai giardini vaticani.

Rileggiamo le parole che Papa Francesco, Peres e Abu Mazen si sono scambiati sotto l’ombra del Cupolone. Peres ha dichiarato: “Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali. Questo significa, che dobbiamo perseguire la pace. Ogni anno. Ogni giorno. Noi ci salutiamo con questa benedizione: Shalom, Salam. Noi dobbiamo essere degni del significato profondo ed esigente di questa benedizione. Anche quando la pace sembra lontana, noi dobbiamo perseguirla per renderla più vicina”.

Mentre Abu Mazen ha pronunciato queste parole: “Ti supplico, O Signore, in nome del mio popolo, il popolo della Palestina – musulmani, cristiani e samaritani – che desidera ardentemente una pace giusta, una vita degna e la libertà; ti supplico, O Signore, di rendere il futuro del nostro popolo prospero e promettente, con libertà in uno stato sovrano e indipendente. Concedi, O Signore, alla nostra regione e al suo popolo sicurezza, salvezza e stabilità”.

E infine le parole di Francesco: “Signori Presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, è vero, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino. Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”.

Shalom. Salam. Pace. Stesso concetto in tre lingue diverse, pronunciato da tre voci differenti. Per capire come sia stato possibile ascoltare queste parole risuonare nei microfoni dal pulpito romano è necessario rivedere il cammino di Papa Francesco in Terra Santa. Nei suoi gesti e nelle sue parole il segreto di un successo globale.

Alfredo De Girolamo & Enrico Catassi

 

foto: tg24.sky.it

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