Firenze – Economia, l’Italia sfreccia per unanime convincimento, ma qualche nodo ancora c’è. A parte il problema del lavoro e dell’occupazione, che sta subendo il colpo epocale della trasformazione internazionale del capitale (GKN insegna), nell’anno del covid, pur essendo stati messi in campo gli aiuti statali, le famiglie in stato di povertà assoluta sono aumentate di 333mila (il 20% in più rispetto al 2019), colpendo in particolare il Nord, le famiglie con minori e quelle con stranieri. A dirlo, è l’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti sulle famiglie italiane, da cui provengono altri dati interessanti per la fotografia reale del Paese. Ad esempio, quelli sulla pressione fiscale delle famiglie, che si è attestata, secondo l’Osservatorio, al 18,9%, aumentando di un punto di Pil, mentre quella generale si è incrementata di 0,7 punti, arrivando al 43,1%.
Partendo dal 2011, il rapporto Pil-pressione fiscale delle famiglie è il seguente: “Il Pil è aumentato di 2,8 miliardi di euro, mentre la pressione fiscale delle famiglie è aumentata di 46 miliardi di euro: +2,8 punti di Pil rispetto a -1 punto di Pil di tutte le altre entrate fiscali” (dati dell’Osservatorio).
L’aumento della pressione fiscale sui nuclei famigliari è in buona parte (50%) attribuibile a Irpef e all’Imu. “Dal 2011 il gettito erariale dell’Irpef è cresciuto di 11,7 miliardi di euro (+7,2%), quello dell’IMU è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120%”. Nello specifico, “l’Irpef, comprensiva delle addizionali locali, è aumentata di 17 miliardi di euro. Nello stesso periodo, il gettito erariale dell’Iva si è incrementato di soli 1,2 miliardi di euro”.
E’ questo, nei punti essenziali, il bilancio tracciato dall’Osservatorio per quanto riguarda il 2020. “L’Osservatorio evidenzia – si legge nella nota – come nel 2020 sia Il Pil che il gettito fiscale si sono ridotti, ma in misura diversa. Nel dettaglio, mentre il Pil è calato del 7,8%, le entrate fiscali delle famiglie sono diminuite del 3,2%, mentre tutte le altre entrate fiscali si sono ridotte dell’8,7%. Di conseguenza, la pressione fiscale generale è salita, ma quella delle famiglie, costituita in massima parte dalle imposte dirette e dall’Imu, è aumentata in misura maggiore. Ad aver inciso in modo particolare su tale tendenza è stato il gettito erariale dell’Irpef che nel 2020 si è ridotto solo del 2,2%”.
Tirando le fila, il bilancio complessivo della pandemia, per il 2020 e pur contando gli ingenti aiuti statali, è negativo. “In particolare – spiegano dall’Osservaorio – a fronte di un calo del Pil di 139,4 miliardi di euro (-7,8%) e di un incremento del deficit pubblico di 129 miliardi di euro, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto di 32 miliardi di euro (-2,8%), mentre l’effetto combinato degli aiuti pubblici e del crollo dei consumi, calati di 116 miliardi di euro (-10,9%), ha determinato un incremento del risparmio lordo delle famiglie di 83,4 miliardi di euro (+88,3%). L’analisi dell’Osservatorio fa emergere, dunque, il paradosso di un aumento della povertà e allo stesso tempo di un aumento del risparmio reso evidente anche dall’incremento dei depositi bancari delle famiglie unito ad un aumento della pressione fiscale”.
Inoltre, i dati dimostrerebbero che sono state le famiglie a sopportare quasi interamente il peso dello shock fiscale e dell’aggiustamento di bilancio seguito alla svolta del 2019, anno in cui ci fu un’interruzione della fase di rientro della pressione fiscale avviata nel 2014 e durata cinque anni, passo indietro che riporta agli anni dello shock fiscale seguito alla crisi del debito sovrano del 2011, annullando quasi del tutto i progressi ottenuti dal 2014 al 2018. “Dal 2011 ad oggi – spiegano dall’Osservatorio – a fronte di un incremento del Pil di 2,8 miliardi (+0,2%), le entrate fiscali delle famiglie, che pesano per meno della metà sulla pressione fiscale generale, sono aumentate di 46 miliardi di euro (+17,3%), mentre le altre entrate fiscali sono diminuite di 15,7 miliardi di euro (-3,8%). In particolare, il gettito erariale dell’Irpef dal 2011 è cresciuto di 11,7 miliardi (+7,2%) e quello dell’Imu, confrontato con il gettito Ici, è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120%. Stessa dinamica, per le addizionali regionale e comunale che hanno contribuito ulteriormente con impatti diversificati e rispettivamente pari a +3,5 e +1,8 miliardi di euro. Le imposte sui redditi di capitale sono aumentate di 9,3 miliardi di euro (+92,8%) e i contributi sociali sono aumentati di 8,5 miliardi di euro (+12,6%)”.
La tappola in cui sono caduti i nuclei famigliari emerge anche da altri dati resi noti dall’Osservatorio dei Commercialisti che riguardano i redditi familiari e la povertà. Dal 2003 al 2018, il reddito medio in termini reali ha perso l’8,3% del suo valore. Nello stesso periodo, il divario Nord-Sud “è aumentato (+1,6%) arrivando a raggiungere i -478 euro al mese. Nelle famiglie in cui prevale il reddito da lavoro autonomo la crisi ha colpito ancora più duramente: la perdita in termini reali è pari al 28,4%. Il divario Nord-Sud è forte anche nella spesa media mensile dei consumi delle famiglie anche se, in questo caso, il Covid-19 ha giocato all’inverso, colpendo maggiormente il Nord e riducendo, anche se solo leggermente, il divario”.
Confrontando i dati, emerge che nel 2020, la spesa mensile media di una famiglia meridionale è pari al 75,2% rispetto ad una famiglia che vive al Nord: 1.898 contro 2.525 euro. E’ il calo dei consumi a segnalare l’aumento della povertà, dal momento che l’Istat misura la soglia di povertà nei termini di un livello di consumi ritenuto essenziale per una famiglia in base alle sue caratteristiche, tra cui spicca anche la residenza. Dunque, dal momento che i consumi si sono ridotti molto di più al Nord che al Sud, la povertà è aumentata più al Nord che al Sud. Una fotografia che tuttavia non è fedele, dal momento che le famiglie al sud partivano già da una soglia più bassa, da un lato e dall’altro, come spiega la nota dell’Osservatorio, mentre molte famiglie scendevano sotto la soglia di povertà, “l’intensità della povertà, cioè la distanza dalla soglia, si riduceva (dal 20,3 al 18,7%). Inoltre la povertà relativa migliora più al Sud che al Nord”.
“Da questa analisi – commenta il presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Massimo Miani – risulta evidente come che le famiglie italiane, su cui grava in definitiva il peso dell’Irpef, hanno pagato e continuano a pagare un conto salatissimo a causa degli squilibri macroeconomici e di finanza pubblica del nostro Paese. L’Irpef, la principale imposta italiana, includendo anche le addizionali locali, nel 2020 ha raggiunto il livello di 191 miliardi di euro, pari all’11,6% del Pil. Basti pensare che nel 2011, alla vigilia dello shock fiscale causato dalla crisi del debito sovrano, era pari al 10,5% del Pil e che, addirittura, nel 1995, prima dell’introduzione delle addizionali locali, si fermava all’8,4%. La riforma fiscale non può non farsi carico di questa problematica. Come più volte abbiamo sostenuto, il peso dell’Irpef grava soprattutto sui redditi del ceto medio ed è evidente anche da questa analisi come negli ultimi dieci anni il peso dell’Irpef su questa categoria di contribuenti sia aumentato a dismisura. Se volessimo riequilibrare le cose e riportare il rapporto tra l’Irpef e il Pil ad una dimensione normale, potremmo parametrarlo alla media europea pari al 9,6%. In questo modo, restando ai dati a consuntivo del 2020, occorrerebbe ridurre il gettito complessivo di almeno 33 miliardi di euro”.
Immagine: Infografica dell’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti