Firenze – A Firenze pochi mesi fa è stato inaugurato il Nuovo Museo dell’Opera del Duomo con più di 750 opere d’arte di famosissimi artisti italiani del Medioevo e Rinascimento toscano: Donatello, Michelangelo, Raffaello, Arnolfo di Cambio, Lorenzo Ghiberti, Andrea Pisano, Antonio del Pollaiolo, Luca della Robbia, Andrea Del Verrocchio e un nuovo grande spazio espositivo: 25 stanze su tre piani per un totale di 6 mila metri quadri ovvero una superficie più che raddoppiata rispetto alla vecchia sede,che lo rendono un museo unico nel suo genere.
Notevole è a presenza di sculture del ‘300,’400 e ‘500 soprattutto di provenienza fiorentina , circa 750 tra statue, opere in bronzo e argento, a cui si affiancano i “mai visti”cioè i 70 frammenti della facciata medievale del Duomo, 200 opere visibili per la prima volta dopo un attento restauro come la Maddalena del Donatello, la Porta Nord del Battistero di Firenze del Ghiberti e i 27 pannelli ricamati in oro e sete policrome su disegno di Antonio del Pollaiolo.
Suggestiva è la Sala dell’Antica Facciata dove è stato realizzato in polvere di marmo e resina un modello a grandezza naturale dell’antica facciata del Duomo di Firenze progettata da Arnolfo di Cambio mentre il piano superiore ospita la Galleria ( lunga 36 metri) del Campanile di Giotto con 16 enormi statue e le sue 54 formelle, la Galleria della Cupola del Brunelleschi con i modelli lignei del ‘400 che sono serviti per la sua realizzazione e la maschera funebre del grande maestro.
Seguono poi le Gallerie delle Cantorie di Donatello e Luca della Robbia e la spettacolare Sala dell’Altare d’Argento dove sono esposte le opere che facevano parte del Tesoro del Battistero. Un Museo che in tanti hanno definito una “vera e propria opera d’arte nell’arte” per l’originalità del contesto architettonico e le opere esposte tutte restaurate.
Ne parliamo con il Presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Franco Lucchesi che ha detto a proposito dell’Opera del Duomo “…è l’ultimo tassello di una unità di lettura restituita ai fiorentini nel suo complesso”.
Può spiegarci meglio questa affermazione?
Il Museo non è un museo tradizionale e in questo mi sento di condividere il punto di vista del suo direttore Monsignor Verdon. Le opere d’arte che vi sono esposte provengono tutte da un unico ambito: il complesso della Cattedrale di Firenze. Esse vi sono collocate in un allestimento che le esalta ma soprattutto le ricontestualizza, restituendo loro quella funzione estetica e quel significato catechetico che l’artista ha interpretato in funzione della loro collocazione originaria. Scegliendo questa chiave museologica si è voluto ricostituire l’unità di lettura e l’interazione fra opera e monumento di provenienza e, al contempo, stimolare il visitatore a ricercare questo dialogo di senso, una volta uscito dal Museo, rivisitando quegli stessi monumenti che lo hanno custodito per secoli. Da qui si comprende la scelta del biglietto unico che consente l’ingresso ad ogni luogo del complesso della Cattedrale da cui provengono le opere d’arte oggi al Museo. Una simile unità di stile e di significati non poteva che essere rappresentata da un solo titolo di accesso.
Bellezza delle opere esposte ma anche comprensione e soprattutto scoperta delle radici culturali di un’epoca di circa due secoli e mezzo che, grazie ai suoi grandi maestri d’arte, ha reso famosa Firenze nel mondo….
Quello che è accaduto a Firenze tra la metà del Duecento fino al Cinquecento fu un vero e proprio miracolo, facilitato da una serie di fattori che sono all’origine del cambiamento che ha segnato la nascita della cultura occidentale moderna. Una nuova organizzazione e concezione del lavoro generarono una fiorente economia di mercato che mise Firenze al centro di importanti scambi commerciali e mercantili. Ricchezza, emulazione, fiducia nelle capacità umane e curiosità intellettuale dettero vita nelle arti a nuovi linguaggi e nuove forme espressive. Le relazioni e gli scambi hanno giocato un ruolo importante. La storia insegna che le grandi civiltà sono quelle che più si sono aperte al confronto, mutuando e reinterpretando conoscenze, usi, costumi e tradizioni.
Dopo i Musei Vaticani, l’Opera del Duomo, simbolo della fede dei fiorentini, è la più grande esposizione di arte sacra al mondo in un contesto, oggi, architettonicamente innovativo: la nuova struttura che accoglie le opere si trova, infatti nel cuore di Firenze, in piazza del Duomo, quasi una sfida che è risultata, però, vincente. In che modo è stata finanziata?
È stata finanziata solo attraverso i biglietti. Non c’è stato alcun contributo da alcun ente pubblico, pochissimi da privati e, di questi, le quote più consistenti provengono dall’estero e non dall’Italia. I biglietti di accesso hanno rappresentato e rappresentano una specie di crowd-funding, semplice e democratico, che responsabilizza chi acquista il biglietto: con questo gesto, oltre a godere di una esperienza gratificante, egli contribuisce alla salvaguardia di beni che appartengono a tutta l’umanità ed a consegnare alle future generazioni una memoria storica di straordinaria importanza e bellezza capace di segnarne la loro stessa identità.
Il museo deve essere per Firenze come ha spiegato Timothy Verdon,il direttore artistico Museo dell’Opera del Duomo,”non un punto di arrivo ma un punto di partenza per una nuova forma di comunicazione artistica. Lo condivide?
Il Museo sicuramente esprime un modo più moderno di esporre le opere d’arte: esse sono state sistemate al suo interno in modo tale da coinvolgere il visitatore in una esperienza sensoriale unica, che permette di immergersi ed interagire pienamente con esse. E’ la sensazione che si prova anche quando si cammina per le strade di Firenze, immersi in tanta bellezza ed armonia. Ecco perché è necessario rispettare questa armonia, avere cura del contesto urbano ed evitare alterazioni violente, pur nel rispetto delle esigenze abitative e lavorative che lo stile di vita di oggi richiede come indispensabili per una città vissuta e non mummificata.
Nelle opere esposte in marmo, in bronzo per la particolare attenzione all’essere umano nell’espressione dei volti, nella gestualità dei modi, nelle pieghe delle vesti, possiamo parlare di valori che riportano all’umanesimo cristiano?
Le opere esposte nel Museo sono certamente rappresentative di quel particolare momento storico, artistico e filosofico chiamato Umanesimo. Ma esse ci parlano anche di Dio; e non solo perché pensate e realizzate per adornare edifici sacri. Gli artisti rappresentano figure che per la loro bellezza e per i sentimenti che esprimono sono specchio della bellezza e dell’amore di Dio. Basta guardare la Maddalena di Donatello o la Pietà di Michelangelo per comprendere quanta intrinseca religiosità esprimono. Il termine “umanesimo cristiano” è, in realtà, il prodotto di un lessico moderno, cioè di un mondo lontano da Dio in cui si sente la necessità di sottolineare attraverso l’aggettivo “cristiano”, il senso religioso che si coglie nelle opere degli artisti di quel tempo. In realtà, soprattutto negli anni del passaggio dall’arte medioevale a quella rinascimentale, quel modo di pensare e di leggere la vita che oggi definiamo come “umanesimo” era per sua natura “cristiano”: non c’era bisogno di aggettivi per cogliere il forte legame con il trascendente e l’immagine stessa di Dio che quegli artisti testimoniavano con le loro creazioni.