Opera del Duomo: il San Lorenzo della collezione Silverman

Firenze – Opera del Duomo: il San Lorenzo della collezione Silverman

San Lorenzo della collezione Silverman sarà visibile fino al 26 febbraio 2017 al Museo dell’Opera del Duomo, all’interno della mostra temporanea “Donatello e Verrocchio. Capolavori riscoperti”. Ne parla nel suo articolo, che qui di seguito riportiamo integralmente, la storica dell’arte Mónica Serrano SeguiUna nuova opera attribuita a Donatello esposta al Museo dell’Opera del Duomo: il San Lorenzo della collezione Silverman” – Firenze, 26/10/2016.

“Lo scorso giovedì 20 ottobre ha avuto luogo l’apertura della mostra temporanea “Donatello e Verrocchio. Capolavori riscoperti” presso il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. La mostra mette a disposizione del pubblico due pezzi in terracotta appartenenti alla collezione Silverman: il primo, un San Lorenzo di Donatello e il secondo, un pannello preparatorio, attribuito al Verrocchio e alla sua bottega, per la compilazione di una delle scene destinate al magnifico altare di argento (1337-1483).

Delle due opere rimane di speciale interesse quella attribuita a Donatello, acquistata da Peter e Kathleen Silverman nel 2003 presso la Casa d’Aste Sotheby’s di Amsterdam. Il busto, che era già stato esposto nei mesi scorsi a Padova per inaugurare il ciclo “Padova 2016. Le mostre di Vittorio Sgarbi”, rimarrà al Museo dell’Opera del Duomo fino al 26 febbraio 2017.

Il direttore del Museo, Mons. Timothy Verdon, situa il San Lorenzo Silverman nel contesto del Concilio di Firenze (1439-1441) quando, dopo la risoluzione dello scisma di occidente, questa città diviene símbolo di pacificazione della Chiesa e di unione tra  questa e la civitas.[1] Riguardo alla commissione dell’originale di Donatello, Francesco Caglioti, principale studioso dell’argomento, individua il committente in Jacopo di Giovanni Ugolini, nobile fiorentino, sacerdote di Borgo San Lorenzo intorno al 1430, periodo in cui il chierico contribuisce alla creazione di una nuova sagrestia. Ugolini, essendo, tra l’altro, canonico della Cattedrale di Firenze, probabilmente conosceva bene Donatello, artista prediletto dell’Opera del Duomo. Per questo motivo, egli potrebbe aver incaricato l’artista, in modo tale da poter dotare la piccola pieve mugellana di un’opera di enorme prestigio.

La tardiva attribuzione di questo lavoro al Maestro, si riscontra per la prima volta nel 1904 nel catalogo di una mostra tenutasi a San Pietroburgo, l’ipotesi fu dimenticata dalla maggior parte degli studiosi. Tuttavia, questa teoria è stata riproposta da Caglioti, docente dell’Università Federico II di Napoli, nel suo saggio “Donatello misconosciuto: il San Lorenzo per la pieve di Borgo San Lorenzo” per la rivista Prospettiva,[2]e ora diffusa al grande pubblico attraverso il catalogo della mostra inaugurata al Museo dell’Opera del Duomo. I

l San Lorenzo della collezione Silverman, così come fa notare il direttore del Museo, è il frutto dell’evoluzione di un Donatello che già da due decadi si stava misurando con la dualità dei concetti  pulchritudo et virtus, elemento facilmente riconoscibile in opere come il Profetino del Museo dell’Opera del Duomo; il David in marmo e il San Giorgio del Bargello; l’Isacco, destinato al Campanile di Giotto ed anche esso conservato al Museo dell’Opera o il San Ludovico di Tolosa del Museo di Santa Croce. Tutte queste opere coniugano la bellezza del corpo con la forza dell’anima, generando in questo modo l’immagine di un giovane, físicamente bello ma a sua volta segnato dall’esperienza.[3]

D’altra parte la connoisseurship di Caglioti e il suo studio approfondito delle fonti del secolo scorso riguardo a questo busto, l’hanno portato a identificarlo, oltre che nelle opere appena menzionate, anche in altre come il David in bronzo del Bargello (1435-40) e il San Daniele di Padova (1447-1448).[4]

Nello stesso modo, Caglioti ubica la genesi della diatriba col san Lorenzo (o san Leonardo) della Sagrestia Vecchia della basilica di San Lorenzo, un altro busto in terracotta, attribuito per lungo tempo a Donatello. Proprio a causa delle differenze formali emerse tra i due pezzi fu considerato impossibile che il nostro provenisse dalla stessa mano dell’autore del laurenziano.

Inoltre, intorno al 1957-58, il busto della Sagrestia Vecchia iniziò ad essere attribuito a Desiderio da Settignano e datato tra il 1459 e il ‘62, quindi diversi anni dopo rispetto a quello realizzato da Donatello per il timpano del portale maggiore della pieve di Borgo San Lorenzo.[5]

In più, occorre dire che gli ultimi studi puntano ad identificare la suddetta figura con un busto di Giacomo del Portogallo, Cardinale Diacono di Sant’Eustachio, che posteriormente sarebbe stato riutilizzato come un San Lorenzo per la Basilica fiorentina.[6] Caglioti relaziona il problema dell’attribuzione anche con il processo della sua acquisizione da parte del principe Giovanni II del Liechtenstein, avvenuta nel 1889 su suggerimento dell’esperto Wilhelm Bode. L’opera gli fu venduta come donatelliana dall’antiquario Stefano Bardini per appena 5000 lire, una cifra all’epoca irrisoria per un vero Donatello.

Allo stesso modo, Caglioti afferma che il busto di Donatello rimase fino al 1888 nella pieve di Borgo San Lorenzo, al cui interno si trova anche una copia policroma sei-settecentesca. Così, nel 1889, un anno più tardi, il busto originale fu ceduto al Principe del Liechtenstein, che lo conservò con grande cura nel Palazzo Rossau di Vienna fino alla sua morte nel 1929. Da quel momento se ne sarebbero fatti carico i suoi discendenti.

Ancora non risulta chiaro come fu condotta l’operazione di acquisizione da parte di Bardini, ma è probabile che nel 1888 l’antiquario, tramite un suo agente di nome Domenico Magno, avesse portato via dalla Chiesa tutte e due le opere con il pretesto di effettuarne il restauro, soprattutto quella del Donatello, molto danneggiata dalle intemperie, approfittando così per sostituirla con un falso.

Tuttavia, Caglioti non scarta l’ipotesi che il chierico fosse consapevole dello scambio; infatti potrebbero avergli offerto un restauro gratuito della copia seicentesca ed un San Lorenzo nuovo da collocare all’esterno. Oltre a ciò, bisogna menzionare anche un’altra copia, molto simile a quella del XVII o XVIII secolo, comprata dal collezionista Edgar Speyer (1862-1932) come un Luca della Robbia, che poi nel 1925 passò a New York all’antiquario dei Brummer e da lì, nel 1933, entrò a far parte della collezione del Museum of Art della Princeton University, dove attualmente si conserva.[7]

Alcune fonti trattate da Caglioti nel suo saggio confermano che lo scambio dei pezzi non fu reso pubblico all’epoca, ma che nel 1914, Don Canuto Cipriani, rettore della pieve di Borgo San Lorenzo, dichiarò che il busto monocromo (in realtà la copia), dato il suo deterioramento, era stato radicalmente restaurato nel 1888 e che il colore bronzeo attuale si doveva all’intervento nel 1906 di Dino e Galileo Chini. In questo senso, Caglioti fa notare che l’artificio di dipingere il busto esterno, già diciotto anni prima del 1906, di un solo colore (precedentemente grigio), serviva a distrarre gli occhi esperti, giacché in questo modo l’opera si mimetizzava in maggior grado con la struttura architettonica.

Così, l’opera fu nuovamente svalutata nel 2003, anno in cui entrò a far parte della collezione Silverman, quando gli eredi del principe Liechtenstein la misero in vendita facendola passare per una scultura del XIX secolo in stile rinascimentale, ispirata al busto del “San Leonardo (e non San Lorenzo) di Donatello della basilica di San Lorenzo di Firenze”.[8]

L’opera originale conservò la tinta policroma, restaurata nel laboratorio Bardini, fino al suo ingresso nella collezione Silverman, dove fu rimossa. La colorazione del busto di Donatello si  può vedere nel catalogo di Sotheby’s di quel anno, 2003.[9]È inoltre presente un’iscrizione, frutto di un ulteriore restauro, precedente a quello del 2003, firmata e datata nel 1955: “Aug. Batik restauriert. I8. X. 55”.

Secondo il Caglioti, Bardini non avrebbe modificato né restaurato le zone plastiche mentre avrebbe dotato di colore la scultura per renderla più consona al gusto collezionistico del momento.[10]

Per concludere non resta che invitare il lettore a farsi un giro per il rinnovato Museo dell’Opera del Duomo, che un anno dopo la sua inaugurazione offre la possibilità di vedere da vicino questa opera restituita, dopo anni di grandi sventure, al suo straordinario esecutore. BIBLIOGRAFIA:

  • CAGLIOTI, Francesco: “Donatello misconosciuto: il San Lorenzo per la pieve di Borgo San Lorenzo”, Prospettiva, nn.155-156, 2014, pp. 2-99.
  • “Of royal and noble descent”, Sotheby’s, Amsterdam, 18, 19 and 20 February 2003, Sotheby’s, Amsterdam, 2003, p. 69 n. 194.
  • VERDON, Timothy: “Pulchritudo et virtus. Il San Lorenzo di Donatello” en Donatello e Verrocchio. Capolavori riscoperti, catalogo della mostra, a cura di T. Verdon, Florencia, Mandragora, 2016.
[1] VERDON, Timothy: “Pulchritudo et virtus. Il San Lorenzo di Donatello” en Donatello e Verrocchio. Capolavori riscoperti, catalogo della mostra, a cura di T. Verdon, Firenze, Mandragora, 2016,  p. 13. [2] CAGLIOTI, Francesco: “Donatello misconosciuto: il San Lorenzo per la pieve di Borgo San Lorenzo”, Prospettiva, nn. 155-156, 2014, pp. 2-99. [3] VERDON, Timothy: Op.cit., pp. 13-23. [4] CAGLIOTI, Francesco: Op.cit., p.49. [5]Ibid., p. 8. [6]Idem. [7]Ibid., p. 40. [8] Crf.: CAGLIOTI, Francesco: Op.cit.,  p.10. [9] “Of royal and noble descent”, Sotheby’s, Amsterdam, 18, 19 and 20 February 2003, Sotheby’s, Amsterdam, 2003, p. 69 n. 194. [10] CAGLIOTI, Francesco: Op.cit., p. 33.”

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